Stato minimo, ingiustizie massime

Dai pourparler con amici e conoscenti emerge un triste, accorato, sconfortante e (quasi) rassegnato ritornello sulla sanità: ormai è normale fare ricorso alle prestazioni a pagamento attingendo alle proprie risorse. Le persone meno sensibili si fermano qui, quelle più responsabili aggiungono la preoccupazione per quanti non si possono permettere il ricorso al privato e rimangono invischiati negli incredibili ritardi e nelle disfunzioni del sistema sanitario pubblico.

«È necessario un piano straordinario di finanziamento del Servizio sanitario nazionale» perché «la spesa sanitaria in Italia non è grado di assicurare compiutamente il rispetto dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e l’autonomia differenziata rischia di ampliare il divario tra Nord e Sud d’Italia in termini di diritto alla salute». È un appello accorato quello sottoscritto da alcune note personalità della scienza per mettere in salvo il futuro di «una delle più grandi conquiste della Repubblica», quel «Servizio sanitario nazionale (Ssn), che ha contribuito significativamente a migliorare prospettiva e qualità di vita e a ridurre le disuguaglianze socioeconomiche».

A firmare il testo (un’ampia riflessione in 10 punti sotto il titolo «Non possiamo fare a meno del servizio sanitario pubblico») 14 scienziati: Ottavio Davini, Enrico Alleva, Luca De Fiore, Paola Di Giulio, Nerina Dirindin, Silvio Garattini, Franco Locatelli, Francesco Longo, Lucio Luzzatto, Alberto Mantovani, il Nobel Giorgio Parisi, Carlo Patrono, Francesco Perrone e Paolo Vineis. Un consesso autorevole che unisce differenti competenze attorno alla consapevolezza che occorre scuotere la politica e l’opinione pubblica su un valore come il Ssn che forse stiamo dando per scontato nei suoi principi di universalità e gratuità ma che è forte rischio. (dal quotidiano “Avvenire”)

Occorrerebbe una mobilitazione finanziaria, programmatica ed organizzativa per risalire una china che ci sta facendo regredire in modo paradossale. Per onestà intellettuale bisogna ammettere che il problema non è ascrivibile soltanto all’attuale governo: è questione annosa di almeno un ventennio. Tuttavia il governo in carica dimostra scarsissima sensibilità e addirittura tendenza a scaricare la problematica sul sistema regionale.

É inutile dare qualche biscottino alle classi meno abbienti togliendoglielo immediatamente di bocca con una sanità, a cui prima o poi tutti devono ricorrere, a dir poco insufficiente e inefficiente e costringendo questi soggetti a pagare fior di prestazioni mediche per curarsi la salute. È una beffa bella e buona!

È scandaloso premiare gli evasori fiscali per poi piangere sulle esauste casse erariali, che non consentono di potenziare, rafforzare ed efficientare il sistema sanitario pubblico. È vergognoso sbandierare il pericolo di una procedura europea nei confronti dell’Italia per «disavanzo eccessivo». Cosa facciamo? Instilliamo sensi di colpa nei malati bisognosi di assistenza e cura? C’è stata e c’è trippa per cani e porci e poi, quando arrivano i malati, non c’è più niente da poter spendere. È da incompetenti e, oserei dire da “delinquenti”, continuare a sprecare fondi in mille inutili rivoli elettoralistici, quando abbiamo una sanità che piange miseria e ha fame di fondi, da impiegare in risorse umane, in investimenti strutturali, etc. etc.

Ascoltiamo il grido incrociato degli scienziati, degli operatori e dei malati effettivi e potenziali. Stiamo trasformando lo Stato sociale, vale a dire quello volto a fornire sostegno a chi si trova in situazione di bisogno e assicurazione e copertura contro determinati rischi e necessità, in Stato minimo che predilige il rispetto e la salvaguardia dell’iniziativa privata in opposizione a ogni tentativo di dirigismo statale e per il quale il compito fondamentale non è quello di perseguire forme di eguaglianza sostanziale, ma di limitarsi unicamente a quelle di eguaglianza formale.

Se proprio si volesse perseguire questo schema statuale individualistico bisognerebbe essere coerenti, dando a tutti licenza di evadere il fisco, eliminando per tutti l’obbligo delle ritenute alla fonte, concedendo a tutti il diritto a condonare le imposte arretrate e non pagate, quale paradossale contraccambio all’arrangiarsi dalla parte dei servizi quali appunto sanità, scuola, trasporti, etc. etc. Un’americanata!

Non sono in grado di valutare l’eventuale impatto benefico sulla sanità dei fondi ottenuti col piano nazionale di ripresa e resilienza: chissà come e chissà quando ne sentiremo gli effetti. Così come è roba da far tremare le vene ai polsi l’eventualità dello scoppio di qualche pandemia: saremmo con ogni probabilità all’anno zero con la necessità di ripartire da capo. Non resta che sperare che ciò non accada.

C’è poi la mina vagante delle autonomie differenziate: un’arlecchinata sanitaria in cui i cittadini meno abbienti rischierebbero di essere ulteriormente becchi e bastonati.

Non so come la gente potrà reagire nel tempo a questa deriva. Forse finirà la sbornia del novellato “Dio, patria e famiglia”, forse si sveglierà dall’illusione di un bagno di ordine e sicurezza, forse capirà di essere stata turlupinata, forse troverà la forza per scendere in piazza e protestare, ma sarà troppo tardi? Non è mai troppo tardi, anche se occorrerà ricominciare dalla Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

Ecco perché vogliono riformare la Costituzione in senso formale (col premierato e con l’autonomia differenziata) e materiale (lo stanno già facendo con bislacche attuazioni).