Sullo stesso treno, ma in diversi scompartimenti

Come far andare d’accordo PD e M5S: potrebbe essere il titolo di una commedia, mentre invece è una scommessa politica, in un certo senso obbligata e in altro senso molto problematica. É anche, se vogliamo, un tema di risulta rispetto al recente esito delle elezioni regionali sarde e alla immediata prospettiva della consultazione elettorale abruzzese e di altre di livello regionale e locale. Le prove elettorali amministrative hanno pur sempre un significato politico; Giorgia Meloni e il centro-destra ci stanno addirittura mettendo la faccia a loro rischio e pericolo. Non so se queste elezioni possano essere tappe di avvio per una vera e propria strategia unitaria della sinistra (campo più o meno largo): qualcosa stanno significando anche se mi sembra prematuro formulare ipotesi di accordi politici veri e propri.

Non parto quindi né dall’illusorio successo della Sardegna, né dalle altre future e ravvicinate campagne elettorali amministrative, che potrebbero anche diventare pericolose vittorie di Pirro. Preferisco prendere spunto al riguardo da una interessante analisi del politologo Carlo Galli pubblicata su “La Repubblica”, di cui riporto di seguito alcuni passaggi.

Il Pd è una forza di centrosinistra in cui si incrociano personalismo cristiano e socialdemocrazia moderata, e in quanto erede (ormai lontano) della Dc e del Pci esprime un ceto politico vasto e ridondante, conforme al sistema istituzionale del Paese e alla sua collocazione europea e occidentale.

Il M5S nasce invece come movimento di protesta populista contro le anomalie, le difficoltà, le contraddizioni del “sistema”. Animato da rabbioso spirito anti-casta, anti-politico e anti- partitico, molto critico verso le istituzioni. Oggi, passati più di dieci anni dalla sua prima grande affermazione elettorale nel 2013, esprime richieste di protezione sociale individuale, al limite dell’assistenzialismo, diffuse in prevalenza nella realtà meridionale. Anche la collocazione internazionale è meno chiara di quella del Pd. Meno occidentalista e atlantico, il M5S è fautore della “pace prima di tutto” in Ucraina e in Israele, il che implica una notevole distanza dalla linea dura antirussa e filo-ebraica che il Pd ha assunto in merito ai due conflitti.

Mentre in buona sostanza il Pd rischia una strisciante assuefazione ad una sorta di centro moderato liberale abbandonando la propria identità popolare, i cinquestelle rischiano di cadere in una deriva populista alla ricerca di alternative antitutto. Il Partito democratico è fin troppo istituzionalizzato e occidentalizzato, mentre il Movimento cinque stelle vive alla giornata inseguendo le istanze emergenti anche scompostamente dalla gente.

Dico subito che attualmente in politica estera mi sento tutto sommato più vicino ai grillini laddove mettono la pace, spero non strumentalmente, al primo posto e di lì fanno discendere le pur confuse loro idee sulla collocazione dell’Italia nel contesto mondiale. Non sono assolutamente d’accordo con chi istiga Elly Schlein a rimanere acriticamente fedele all’occidentalismo vecchia maniera intravedendo in una eventuale presa di distanza pericoli per la democrazia europea.

Diverso è il discorso economico-sociale ed istituzionale, anche se qualche fascino i cinquestelle lo esercitano pure in questo campo con la loro politica imprevedibile e scanzonata. Qui però non si può derogare dal rigore repubblicano né dal moderno riformismo.

Non sono in accordo con chi, come il carissimo amico ex senatore PD Giorgio Pagliari, trova contraddittorio e (miope) l’ipotesi di costruzione del nuovo centrosinistra con il M5S, filo putiniano e filo trumpiano, populista, trasformista, giustizialista, demagogico e pronto a tutto e al contrario di tutto come si visto, da ultimo, sul Mes e sull’Ucraina. Sono effettivamente tutte questioni realisticamente ed ideologicamente aperte, che non si possono tuttavia semplificare e radicalizzare, ma vanno affrontate con pazienza anche perché non vedo alternative agibili se non quella di un centrosinistra con un occhio di riguardo all’eventuale risorgente “moderatume” pseudo-democristiano. Se è vero che le nozze non si fanno coi fichi secchi, è altrettanto vero che rimanere acidamente celibi (o nubili) non serve a nessuno.

Non voglio azzardare paragoni impossibili, né confondere il sacro col profano, ma tra queste due forze politiche sarebbe necessario un compromesso storico di memoria morotea (campa cavallo…), volto nel breve termine a democratizzare ed istituzionalizzare il M5S rendendolo pienamente maturo per governare, rinviando al medio termine lo studio della possibilità di organiche collaborazioni o del definitivo ripiegamento concorrenziale.

Un accordo tattico (quasi obbligato), se non altro per contrastare la destra che incalza, in vista di una strategia tutta da approfondire nei contenuti, nei contenitori e nelle classi dirigenti.  Non ho idea se e come le prossime scadenze elettorali europee possano favorire il dialogo e l’incontro fra queste due forze politiche: il sistema elettorale proporzionale aiuta a presentarsi divisi per colpire insieme (?). Il quadro politico europeo potrebbe rivelarsi un terreno adatto per lavorare alla costruzione di prospettive strategiche: nelle istituzioni europee si gioca il nostro futuro e quindi…