Il patto delle spumarine

Nel 2021 c’era chi ipotizzava l’uscita dalla crisi grazie alla formazione di un governo composto da PD, LeU e M5S – che già sostenevano Conte – con l’aggiunta di Forza Italia, i cui voti sarebbero stati necessari per sostituire Italia Viva, il partito di Renzi che aveva innescato la crisi uscendo dal governo e dalla maggioranza. Di questa operazione non si fece nulla.

Di maggioranza Ursula si era parlato ancor prima nell’estate del 2019, per evitare di andare a elezioni dopo la crisi del primo governo Conte, nato da un accordo tra Movimento 5 Stelle e Lega. Romano Prodi, in un articolo scritto per il Messaggero, aveva fatto un positivo ed esplicito riferimento all’ipotesi di un accordo tra PD, M5S e Forza Italia: «Forse bisognerebbe battezzare questa necessaria coalizione filoeuropea “Orsola”, cioè la versione italiana del nome della nuova presidente della Commissione europea». Alla fine però Forza Italia era rimasta unita al centrodestra, all’opposizione.

Anche oggi – vedi articolo di Marco Iasevoli sul quotidiano “Avvenire” di sabato 17 febbraio 2024 – si fa un’ipotesi, a metà strada tra la dietrologia e la fantapolitica, in base alla quale gli «scambi di cortesie» e i contatti tra le due leader, Meloni e Schlein, potrebbero preparare il terreno a un sostegno trasversale alla nuova Commissione Ue. Ne riporto di seguito i passaggi essenziali.

Insomma, se non c’è un vero e proprio “patto”, parola usurata e sempre precaria in politica, le due leader hanno la piena consapevolezza di un percorso a breve termine che le accomuna.

L’evidenza si è avuta pubblicamente con la “conciliazione amichevole” sulle mozioni inerenti il Medio Oriente. Il galateo istituzionale conta poco. I più attenti osservatori hanno notato un vero e proprio accreditamento e riconoscimento reciproco sull’agenda internazionale.

Se fosse questo l’unico terreno di incontro, sarebbe troppo poco per prospettare scenari più ampi. Ma i segnali, gli indizi, sono due. E il secondo è, dal punto di vista della politica interna, quasi più potente del primo. Riguarda il terzo mandato. Fratelli d’Italia, il partito della premier, si è intestata una battaglia che interessa molto, moltissimo la segretaria del Pd. Che in questa settimana, su un nodo spinoso, ha persino evitato di “sporcarsi le mani”. È stata infatti Fdi a respingere l’assedio della Lega per consentire un terzo mandato ai governatori, in funzione-Zaia nel Veneto. Il partito della premier adduce un motivo politico difficile da contestare: c’è un nuovo equilibrio nella maggioranza, la corsa alle Regioni dovrà rispecchiare il diverso peso di Fdi rispetto a Carroccio e Forza Italia. Ma l’interesse di Elly Schlein per la materia non è di minore peso. La segretaria deve schivare la mina di De Luca in Campania, evitarne la candidatura-ter perché da lì passa gran parte del messaggio di rinnovamento del Pd. Costi quel che costi. Ma il discorso del terzo mandato riguarda anche il presidente e rivale interno Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna. Insomma, mutue convenienze.

Il fatto che l’intensificazione dei rapporti avvenga a ridosso della campagna elettorale per le Europee apre a riflessioni. Il confronto televisivo è imminente, i due team si incontrano sempre più spesso. La prospettiva che entrambe siano candidate e omni-capilista dei rispettivi partiti è realistica. E le due euro-delegazioni potrebbero trovarsi dalla stessa parte, nel Parlamento Ue, quando si dovrà dare il via libera alla nuova Commissione, probabilmente al Von der Leyen bis. E condividere un governo europeo significa anche doversi parlare, giocoforza, sui grandi nodi istituzionali ed economici dell’Unione, a partire dalla “velocità” della transizione ecologica. Aver reso pubblico, evidente il dialogo Meloni-Schlein è un messaggio anche agli alleati reali e potenziali (Lega e M5s) che cercano di scavare consenso giocando ai limiti del campo, e anche oltre.

A prima vista mi sembra soltanto un piccante esercizio giornalistico: in buona sostanza Meloni e Schlein starebbero cercando il modo di risolvere i loro problemi di cucina casalinga andando a mangiare al ristorante europeo se non addirittura a quello internazionale.

Senonché la Ue dovrebbe essere una cosa seria e non un rifugio anti-missili leghisti, delucani e grillini. Giusto guardare all’Europa e al mondo intero, ma non per sfuggire ai problemi riguardanti gli equilibri interni o addirittura di coalizione o di partito.

La politica è fatta di strategie e tattiche. Di strategie ormai non se ne parla più, e da tempo, tutto si riduce a tattiche, che però lasciano il tempo che trovano e si riducono ulteriormente a mosse opportunistiche. Spero che Meloni e Schlein non si stiano reciprocamente montando la testa: tra donne ci si intende meglio? Dipende…nel caso mi sembra il patto fra due giovani nuore affinché intendano le suocere rompiscatole.

Nel discredito generale della politica ci mancava anche questa. Le due primedonne che calcano il palcoscenico e cantano in uno strano duetto per coprire le stonature indotte dalle loro scuole di canto. Ben venga la richiesta comune di cessate il fuoco nella guerra tra Hamas e Israele, ben venga il confronto corretto e leale (vado adagio ad usare la parola dialogo che mi sembra sproporzionata alla qualità delle interlocutrici), ben venga un’iniezione di femminilità nelle istituzioni (a patto che non sia pura civetteria politica), ben venga dare una calmata ai bollenti spiriti di Salvini e De Luca (anche se fra i due c’è un abisso culturale e politico).

Temo tuttavia che si tratti di uno scambio più di convenienze che di cortesie. Se andiamo avanti così, con la candidatura pigliatutto di Meloni e Schlein alle prossime elezioni europee e ancor prima con il loro duopolio mediatico-dibattimentale, se riduciamo la politica a bottega per le “spumarine” (in dialetto persone vane e leggere che pretendono di valere molto) di turno, rischia di affievolirsi la mia pur timida voglia di tornare a votare, a meno che il 25 aprile le due soubrette si presentino, mano nella mano, e facciano un profondo e silenzioso inchino a chi è morto per la politica, quella vera da cui loro (fatte pure le debite distinzioni e proporzioni) sono lontane mille miglia.