In Europa tra palle e valori

Alberto Ferrarese (Askanews): Buongiorno Presidente. La domanda è molto semplice, si candiderà alle europee e, sempre sulle europee, nel caso si profilasse – come pare dalle proiezioni attuali – una nuova maggioranza come quella attuale, una maggioranza cosiddetta Ursula, è pronta a sostenerla o resterà all’opposizione in Europa?

Presidente Meloni: Buongiorno a lei. Allora guardi, sul tema della candidatura alle europee è una decisione che non ho ancora preso. Come lei sa io sono persona per la quale niente conta di più che sapere di avere il consenso dei cittadini. Per cui tutte le volte che io ho avuto l’occasione di misurarmi col consenso dei cittadini l’ho fatto e anche ora che sono Presidente del Consiglio secondo me misurarsi con il consenso dei cittadini sarebbe a maggior ragione una cosa utile e interessante. Né mi convince la tesi di chi dice che candidarsi alle europee sarebbe, diciamo così, una presa in giro dei cittadini perché poi ci si dimette e non si va in Europa. I cittadini che ti votano lo sanno che poi non andrai in Europa, ma se vogliono confermarti il tuo consenso anche questa è democrazia.
Penso anche che una mia eventuale candidatura potrebbe forse portare anche altri leader a fare la stessa scelta. Penso nell’opposizione e potrebbe anche diventare un test di altissimo livello, quindi un test democratico molto interessante. La ragione per la quale a fronte di queste valutazioni che le ho fatto, che farebbero propendere per un sì, io non ho ancora deciso, è che devo capire se una mia eventuale candidatura personale toglierebbe tempo al mio lavoro da Presidente del Consiglio più del tempo che chiaramente sarà comunque necessario per fare la campagna elettorale delle elezioni europee che tutti faremo. E perché penso anche che sia una decisione che va presa insieme agli altri leader della maggioranza e abbiamo stabilito che l’avremmo presa insieme. Per quello che riguarda il tema della cosiddetta maggioranza Ursula, lei sa che io lavoro per costruire una maggioranza alternativa – che tra l’altro negli ultimi mesi ha dimostrato di poter esistere su alcuni dossier: penso ad alcune materie legate alla transizione verde, penso ad alcune materie legate all’immigrazione – se questo non fosse possibile all’esito del voto delle elezioni europee, come si sa io non sono mai stata disponibile a fare un’alleanza parlamentare con la sinistra. Non l’ho fatto in Italia e non lo farei in Europa e questa rimane la mia posizione.
Chiaramente un ragionamento diverso va fatto per il tema della Commissione, perché qui si fa un po’ di confusione, e del voto parlamentare che conferma la Commissione perché quando si forma una Commissione europea ogni governo esprime un proprio Commissario, cioè Ursula von der Leyen fu eletta Presidente della Commissione nel 2019 con il voto determinante di partiti di governo che poi non hanno mai fatto parte della sua maggioranza, non so il PIS polacco. Perché ovviamente quando si fa un accordo e ciascun governo nomina il suo Commissario poi i partiti di governo tendono a favorire la nascita di quella Commissione che è frutto di un accordo ma questa non è una maggioranza e non lo è stata per esempio nel caso di Ursula von der Leyen.  Quindi con questa doverosa precisazione, perché è una dinamica solo europea che qui in Italia spesso genera secondo me confusione nel dibattito che sento e che leggo, no, non sarei disposta a fare una maggioranza stabile in Parlamento con la sinistra come è sempre stato per quello che mi riguarda. (estratto dal testo della Conferenza stampa di inizio anno tenuta dalla premier)

Sarò prevenuto, ma non ho capito bene cosa intenda fare Giorgia Meloni in Europa al di là della sua simbolica e tattica candidatura. Chiarezza vorrebbe che il suo partito, visto tra l’altro che si vota col sistema proporzionale, dicesse preventivamente agli elettori quale disegno ha in mente per l’assetto politico della Ue. Considerata l’alta improbabilità della sua prima scelta, vale a dire una maggioranza fra destra e popolari per la riottosità di questi ultimi, tenuto conto della ideologica chiusura a sinistra, non resterebbe che rimanere in splendida minoranza a livello parlamentare. Senonché il governo italiano dovrà pur esprimere un commissario e lo farà su semplice accordo istituzionale e senza intesa politica. Strano modo di approcciare le istituzioni europee e di porre le basi per una collaborazione con i partner europei: con un opportunistico piede di potere dentro e con l’altro piede politico fuori.

Non intendo fare della dietrologia a tutti i costi, ma questa prospettata dicotomia tra Parlamento e Commissione europea, oltre che essere una contraddizione clamorosa rispetto alle riforme costituzionali sbandierate in Italia (forte rappresentatività e stabile governabilità), mi sembra un antidoto all’eventuale ritorno in campo di Mario Draghi coram populo come presidente della Commissione: per l’Italia non c’è spazio per consociativismi interpartitici ed internazionali. L’esatto contrario di un condiviso rilancio del ruolo della Ue, a cui servirebbe un Draghi, che evidentemente non profetizza in patria.

Non so come finirà la questione della candidatura europea di Giorgia Meloni (muore dalla voglia, ma chi troppo vuole nulla stringe). Sembra che i suoi alleati di governo stiano nicchiando, temano uno schiacciamento eccessivo sulla premier e intendano muoversi con una certa autonomia, tentando di recuperare qualche consenso a livello elettorale e persino di tenersi le mani libere nel futuro Parlamento europeo.

Le elezioni europee purtroppo costituiscono solo una controprova di quelle nazionali, mentre invece dovrebbero avere un loro significato e una loro portata. Durante la campagna elettorale si parlerà di tutto meno che di Europa. I partiti di governo vorranno autopromuoversi e autocelebrarsi dopo oltre un anno di esperienza: al massimo faranno sfoggio di risultati ottenuti in chiave meramente rivendicazionista nei confronti della UE. I partiti di opposizione cercheranno una rivincita non tanto in senso europeistico, ma a livello nazionale. Dell’Europa, in fin dei conti, non frega niente a nessuno, pur sapendo che tutti i problemi passano di lì. E poi l’euroscetticismo è sempre l’illusoria carta di riserva per continuare a considerare la Ue come valvola di sfogo per le nostrane incapacità a governare.

Per Elly Schlein sarà forse l’ultima chance, purché non si intestardisca a giocare la carta europea in senso personalistico e di contrapposizione manichea. Lasci a Giorgia Meloni il compito di tirare fuori le palle (nel duplice senso di bugie e di virilità politica) da uomo dell’anno quale è stata nominata. Si accontenti (si fa per dire) di tirare fuori finalmente i valori, in primis quello dell’europeismo e del federalismo da coniugare con quelli della giustizia sociale, dell’accoglienza agli immigrati, della lotta alle povertà, della ricerca della pace e dell’equilibrio ecologico. Ora o mai più.