L’alluvione calcistica antidoto contro tutte le alluvioni

Il fatto che, di fronte ad un evento calamitoso che ha colpito la Toscana e altre regioni italiane, si spendano parole e immagini per discettare sull’opportunità o meno di giocare una partita di calcio la dice lunga sul livello culturale del nostro Paese e in particolare dei media che in esso sfornano e formano opinioni e giudizi.

C’è poco da fare, il calcio deve sempre essere protagonista, non c’è verso di relativizzarlo e di retrocederlo a mero sport che fa spettacolo. Diamo troppa importanza a ventidue giocatori che rincorrono un pallone. Un mio simpatico zio ironizzava ed affermava che si sarebbe interessato al calcio soltanto se ventidue palloni avessero rincorso un giocatore.

Quando tiro in ballo il calcio, mi sento in dovere di riandare agli insegnamenti paterni. Lui lo amava, se ne interessava fino ad un certo punto, poi si fermava. Si badi bene che non era un soggetto che seguiva la partita in modo distaccato; era molto coinvolto, amava quello che considerava lo sport più bello del mondo perché semplice, giocabile da tutti, per tutti molto comprensibile, affascinante e trascinante nella sua essenzialità, spettacolare nella sua variabilità ed imprevedibilità, sentiva fortemente l’attaccamento alla squadra cittadina (soprattutto nelle partite con la Reggiana soffriva fino in fondo) e non sottovalutava il fenomeno del “fotbal”, come amava definirlo in una sorta di inglese parmigianizzato.

Il concetto, che aveva mio padre del fenomeno calcio, tagliava alla radice il marcio; viveva con il setaccio in mano e buttava via le scorie, era un “talebano” del pallone. Per evitarle accuratamente pretendeva che il dopo partita durasse i pochi minuti utili per uscire dallo stadio, scambiare le ultime impressioni, sgranocchiare le noccioline, guadagnare la strada di casa e poi…. Poi basta. “Adésa n’in parlèmma pu fìnna a domenica ch’ vén”. Si chiudeva drasticamente e precipitosamente l’avventura calcistica in modo da non lasciare spazio a code pericolose ed alienanti, a rimasticature assurde e penose.

Può bastare per inquadrare il discorso. Dopo di che, la partita Fiorentina- Juventus andava giocata oppure rinviata a data da destinarsi? Troppo importante per essere rinviata: la vita, secondo i pragmatici, deve continuare nonostante tutto. Troppo importante per essere giocata: secondo i benpensanti bisognava dare un segnale di rispetto per le sofferenze altrui.

Un pareggio fra retoriche. Quante sciocchezze ho sentito nei commenti: il più bel tacer non fu mai scritto. La nostra società, fra le tante sciagure che è costretta ad affrontare, può inserire di diritto anche il campionato di calcio con il profluvio di cazzate che comporta. In questi giorni è stato un modo elegante per bypassare l’alluvione; parlare di calcio è infatti un modo per evadere dalla realtà. Un tempo, per tacitare le discussioni politiche, si spostava maschilisticamente l’attenzione sulle avventure e sui gusti in campo femminile. Oggi, per evitare di toccare tasti imbarazzanti, si pensa e si parla demenzialmente di calcio: tutti hanno qualcosa da dire, nessuno ha voglia di pensare e allora…

Alla fine, dopo queste premesse, credo sia difficile esprimere la mia opinione sull’opportunità di giocare la partita di cui sopra. Forse bisognava sospenderle tutte sine die, quanto meno per disintossicarsi un po’. É pretendere troppo, perché sarebbe un cataclisma e allora continuiamo così!