C’era una volta un giudice a Catania…

L’espressione “Ci sarà pure un giudice a Berlino” oppure “esiste dunque un giudice a Berlino” è stata mutuata da un’opera di Bertold Brecht nella quale si narra la storia di un mugnaio che lotta tenacemente contro l’imperatore per vedere riparato un abuso. La storia è la seguente. A Potsdam, vicino Berlino, l’imperatore Federico II di Prussia voleva espropriare il mulino di un mugnaio per abbatterlo. Si trattava chiaramente di un abuso in quanto il motivo consisteva nel fatto che il mulino danneggiava il panorama del suo nuovo castello di Sans Souci. Pur di averla vinta, l’imperatore non esitò a corrompere tutti i giudici e tutti gli avvocati a cui il mugnaio si rivolgeva. Con grande tenacia, il mugnaio riuscì a trovare un giudice onesto che lo aiutò a vincere la causa. Ecco perché si usa l’espressione per dire che, alla fine, la giustizia trionfa comunque.

Ebbene, esiste un giudice a Catania, che ha osato fare giustizia a un immigrato rinchiuso impropriamente in un centro di intrattenimento in attesa di verificare i suoi requisiti in materia di asilo, ritenendo l’atto amministrativo lesivo delle libertà personali e in contrasto con la legislazione europea.

Ad occhio e croce e da profano mi sembra che la decisione sia ben motivata e inattaccabile: non si possono alzare surrettiziamente muri difensivi contro gli immigrati, sorvolando sui loro diritti e sui nostri doveri.

Apriti cielo! Avendo dubbie argomentazioni con cui contrastare il provvedimento in sede giudiziaria, il governo ha ritenuto di scatenare una polemica personale contro il giudice Apostolico, accusandolo di parzialità alla luce della sua partecipazione, alcuni anni or sono, ad una manifestazione in difesa dei diritti dei migranti durante la quale ci furono scontri con le forze dell’ordine.

Quante volte negli anni sessanta e settanta mi è capitato di partecipare a manifestazioni politiche con tanto di scontri tra polizia e manifestanti piuttosto inferociti: i marginali comportamenti violenti non toglievano validità ai motivi delle proteste. Se il giudice Apostolico condivideva o era interessato a comprendere le ragioni di quella manifestazione e quindi era presente in piazza, non vedo sinceramente alcun problema di incompatibilità con la sua funzione di magistrato. I giudici non devono estraniarsi dalla realtà, ma inserirsi in essa per poi, a suo tempo, assumere decisioni giudizialmente riguardanti la realtà. Non credo al giudice come soggetto avulso dal contesto sociale: ha il diritto-dovere di avere le proprie idee e di evidenziarle in modo corretto e discreto. In sede giudiziaria invece devono prevalere il rispetto delle leggi e la loro applicazione. Mi sembra infatti che le argomentazioni giuridiche portate a supporto del provvedimento che tanto clamore ha suscitato siano ineccepibili o, quanto meno, inattaccabili dal punto di vista dell’abuso del potere giudiziario ai danni di quello esecutivo.

Non mi sporco la penna per commentare la polemica intervenuta sulla vicenda: giriamola come vogliamo, ma c’è in atto un tentativo di censura verso chi osa mettere il dito nelle piaghe del governo. Intendo solo improvvisarmi quale dilettante Esopo nel clima politico italiano, pieno di assurde favole.

Un lupo vide un agnello che beveva ad un torrente, sotto di lui, e gli venne voglia di mangiarselo. Così, gli disse che bevendo, sporcava la sua acqua e che non riusciva nemmeno a bere. «Ma tu sei a monte ed io a valle, è impossibile che bevendo al torrente io sporchi l’acqua che scorre sopra di me!» rispose l’agnello. Venuta meno quella scusa, il lupo ne inventò un’altra: «Tu sei l’agnello che l’anno scorso ha insultato mio padre, povera anima». E l’agnello, di nuovo, gli rispose che l’anno prima non era ancora nato, dunque non poteva aver insultato nessuno. «Sei bravo a inventare delle scuse per tutto» gli disse il lupo, poi saltò addosso al povero agnellino e lo mangiò.

Il ministro Salvini vide il magistrato Apostolico, che aveva emesso una sentenza in materia di immigrazione, che oltre tutto stava facendo opinione al tribunale siciliano, e gli venne voglia di sputtanarlo. Così, gli disse che sentenziando disturbava l’azione del governo e neutralizzava l’effetto delle regole adottate in materia dall’esecutivo. «Ma tu hai il potere esecutivo e io quello giudiziario, tu fai il tuo mestiere e io faccio il mio, è impossibile che emettendo delle sentenze io possa intromettermi negli atti del governo!» rispose il magistrato. Venuta meno quella scusa, Salvini ne inventò un’altra: «Tu sei un giudice che fa politica e nel 2018 ha partecipato ad una pubblica manifestazione per la difesa dei diritti degli immigrati: risulta da un video in mio possesso». E il magistrato, di nuovo, gli rispose che si trattava di una pubblica manifestazione che non c’entrava niente con la sua attività giudiziaria e che semmai non spettava a lui setacciare la vita dei giudici, ma semmai al Consiglio Superiore della Magistratura. «Sei bravo a inventare delle scuse» gli disse Salvini, poi chiese a gran voce e insistentemente al magistrato di dimettersi.