Draghi tra l’umiltà ursuliana e la presunzione giorgiana

Il discorso di Ursula Von der Leyen sullo Stato dell’Unione, tenuto davanti alla plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo, sembra confermare la volontà della politica tedesca di ottenere un secondo mandato alla guida della Commissione Europea. Un passo avanti che fa il paio con gli ultimi segnali del Ppe, rivolti più a confermare l’asse con socialisti e liberali che non ad allargare la futura maggioranza europea a destra. E per dare una base programmatica al lavoro del futuro Europarlamento e del futuro governo comunitario “ingaggia” Draghi: “Ho chiesto a Mario Draghi – annuncia di preparare un rapporto sul futuro della competitività europea”. La presidente della Commissione Ue non schiva il tema delle prossime euro-elezioni di giugno 2024. Sarà l’appuntamento, dice, in cui l’Europa “dovrà rispondere ancora all’appello della storia”. Alla plenaria di Strasburgo Von der Leyen propone tre priorità, tre sfide: lavoro, inflazione e contesto imprenditoriale. Per tenere tutto insieme in un’unica visione servirà, appunto, il contributo dell’ex premier italiano, “una delle più grandi menti economiche europee”. Dovrà essere Draghi a indicare le basi sistemiche perché l’Europa faccia “whatever it takes” – la formula con cui Draghi difese l’euro, e che ieri Von der Leyen ha citato – per non restare indietro sui mercati globali. (dal quotidiano “Avvenire” – Marco Iasevoli)

Un carissimo amico, che ha la paziente bontà di leggere i mei quotidiani commenti ai fatti del giorno, mi ha scritto tempestivamente: “Caro Ennio ho visto che la Presidente della Commissione Europea ha seguito il tuo suggerimento per utilizzare Draghi”. Faceva riferimento ad un mio recentissimo scritto in cui affermavo sconsolatamente: “Abbiamo un vero europeista in casa e lo abbiamo liquidato in malo modo, è lui l’unico statista sulla piazza e noi preferiamo volare basso. Sergio Mattarella non si era sbagliato, si sono sbagliati i partiti e gli elettori che li hanno seguiti”.  Qualcuno a Bruxelles e a Strasburgo fortunatamente, seppure un tantino strumentalmente, se ne è accorto.

Non ho ben capito a cosa concretamente alluda questo incarico a preparare un rapporto sul futuro della competitività europea. «Whatever it takes» (in italiano “Tutto ciò che è necessario” o anche “Costi quel che costi”) è una famosa locuzione in lingua inglese che il governatore della Banca Centrale Europea Mario Draghi pronunciò il 26 luglio 2012, nell’ambito della crisi del debito sovrano europeo, per indicare che la BCE avrebbe fatto appunto “tutto il necessario” per salvare l’euro da eventuali processi di speculazione.

In poche parole la Von der Leyen ha lanciato un “sos europeistico” a Draghi: una seria ammissione di debolezza e un opportuno appello a chi può dare una mano all’Europa per uscire dalle secche in cui si è inchiodata.

“C’è chi tende a vedere ogni mossa come se andasse contro il mio governo, ma Mario Draghi è uno degli italiani più autorevoli, presumo che possa avere un occhio di riguardo per la nostra nazione, io la considero una buona notizia”. Così la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ospite di “Cinque minuti”, il programma di Bruno Vespa in onda dopo il Tg1, sull’annuncio della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, di aver chiesto a Draghi di preparare un rapporto sul futuro della competitività europea. Da queste parole imbarazzate traspare un mix di rimpianto-rimorso, di opportunismo e di strumentalità. Il titolo del programma, “cinque minuti”, la dice lunga sulla sbrigatività con cui Draghi fu liquidato in Patria e su quella con cui verrà probabilmente osservato d’ora in avanti.

Era ora che qualcuno si ricordasse di Draghi. Staremo a vedere se e quale seguito avrà la mossa ursuliana. Potrebbe essere persino una ciambella di salvataggio lanciata discretamente e intelligentemente da una governante capace di ammettere i propri limiti alla sgusciante collega italiana, ma è troppo sottile il discorso per essere colto da una governante piena di sé, vale a dire piena di nulla.