Diplomazia non vuol dire primazia

Kiev chiede alla Santa Sede di “contribuire all’attuazione del piano di pace ucraino”. Così il presidente Zelensky, dopo l’incontro con l’inviato del Papa, monsignor Zuppi.  “Solo sforzi congiunti, isolamento diplomatico e pressioni sulla Russia possono portare una giusta pace. Un cessate il fuoco non porterà la pace”, aggiunge Zelensky. “L’Ucraina accoglie con favore la disponibilità di altri Stati e partner a trovare vie per la pace. Ma poiché la guerra è sul nostro territorio, la formula può essere solo ucraina”.

Mi chiedo se ci sia qualcuno in grado di convincere Zelensky che la diplomazia non consiste nel far prevalere i propri piani, ma nell’essere disponibili a confrontar e i propri piani di pace con quelli degli altri, nemici ed amici, al fine di trovare un compromesso di sintesi su cui cominciare a costruire una vera e propria pace stabile e duratura. Stando alle succitate dichiarazioni, sembra che il cardinal Zuppi, inviato del Papa, non sia riuscito a mettere il presidente ucraino in questa logica.

Sembra quasi che l’Occidente e finanche il Vaticano abbiano una sorta di timore reverenziale verso questo personaggio intestardito a vincere la guerra. Si è radicata la mentalità politica e mediatica secondo la quale ogni e qualsiasi cedimento ucraino sarebbe una catastrofe per gli equilibri mondiali. L’Occidente, gli Usa con molta voce in capitolo e la Ue con poca forza di persuasione, dovrebbe almeno subordinare l’invio di ulteriori aiuti militari alla disponibilità ad aprire un qualche spiraglio di seria trattativa.

“Armi sì, armi no”, proviamo almeno a dire “armi si, ma…”. Quando si aiuta una persona in difficoltà, si deve essere generosi e non pretendere niente in contraccambio, ma bisogna almeno preoccuparsi di vedere l’effetto positivo che questo aiuto potrà avere: a fondo perduto non vuol dire a vanvera.

Il dubbio atroce è che gli aiuti all’Ucraina, in fin dei conti, servano più a mantenere il potere occidentale che non a rivedere gli assetti di questo potere a servizio di una pace vera o quanto meno di un po’ di pace.

L’intervento, allo stato attuale più umanitario che diplomatico, del Vaticano dovrebbe riuscire a scompigliare e smontare la situazione per avviare un dialogo a 360 gradi con tutti gli interlocutori più o meno coinvolti nel conflitto. In questi giorni ho rivisto con commozione le ricostruzioni televisive della vita di papa Giovanni XXIII. Emerge una rivoluzionaria e irrinunciabile sua convinzione: la Chiesa non ha nemici! Di qui si può e si deve partire. Zelensky non può pretendere di schierare il Vaticano fra i suoi amici e conseguentemente fra i nemici della Russia e di Putin. Se è così non ha capito niente e bisognerà pure dirglielo. Se non riesce a convincersene sul piano etico, cerchi almeno di ragionare dal punto di vista utilitaristico: cosa gli serve un amico in più, se la guerra si allarga sempre più. Si metta in testa che dalla guerra tutti hanno tutto da rimettere. E, per favore, non giochiamo ad evitare di fare la prima mossa: facciamola una buona volta, proviamo ad uscire da questa maledetta logica bellicista.

Sarà riuscito, riuscirà il cardinale Zuppi in questa impresa?  Il grande Giorgio La Pira, quando a mani nude andava in difficilissime missioni di pace, si faceva precedere ed accompagnare dalla preghiera delle monache di clausura che riusciva a coinvolgere. Ebbe l’ardire di confidarlo apertamente ai membri del politburo sovietico, che ne rimasero sbigottiti. Non voglio dare consigli al Papa e ai suoi uomini, ma forse sarebbe il caso di provarci.