La lingua batte dove il neofascismo duole

“Dal 1922 al 1943 in Italia non c’è stata la democrazia. Benito Mussolini ha sostituito il sistema democratico con una dittatura: il fascismo. Durante questo periodo, il fascismo ha impedito in tutti i modi l’uso delle parole straniere nella lingua italiana, ad esempio ha vietato l’uso delle parole straniere nelle insegne dei negozi, nella pubblicità, nei nomi delle strade e degli alberghi. Una delle parole più usate durante la dittatura è stata sicuramente duce, un termine che in latino, al tempo degli antichi romani, significava ‘capo’, ‘condottiero’, e che gli italiani dovevano usare per indicare Mussolini. Nel 1938 i fascisti hanno anche vietato l’uso del lei. Le persone non potevano più darsi del lei: dovevano usare il voi. Invece di dire “Lei, signora, come sta?” dovevano dire “Voi, signora, come state?”. Ma gli aspetti più gravi sono stati altri. Per prima cosa, il regime fascista ha impedito in tutti i modi l’uso dei dialetti. Poi, ha perseguitato le minoranze linguistiche, gli italiani che parlavano altre lingue, come per esempio quelli che parlavano il tedesco in Alto Adige o lo sloveno nella Venezia Giulia. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, insieme alla democrazia, in Italia sono tornate tutte le libertà, anche quella di usare le parole e le lingue che preferiamo” (Rai scuola).

Mio padre, anche con riferimento al fascismo, usava un modo di dire molto significativo: ”In dò s’ ghé stè a s’ ghe pól tornär“. Il rischio trova paradossale conferma in una proposta di legge, che prevede sanzioni per chi non usa l’italiano e vieta conferenze e corsi universitari solo in inglese. Sembra quasi uno scherzo, ma non è così. Siamo al momento solo a livello di proposta, ma il fatto rispecchia una mentalità ed una logica portate avanti dalla destra italiana al potere. Quando si dice che il fascismo è dietro l’angolo… Infatti il primo firmatario del progetto presentato in Parlamento già da qualche mese è il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia: «Disposizioni per la tutela e la promozione della lingua italiana e istituzione del Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana».

Viene spontaneo formulare due piccanti osservazioni. La prima: possibile che con tutti i problemi sul tappeto qualcuno pensi di legiferare con simili sciocchezze? La seconda: possibile che in un mondo globalizzato e sempre più integrato qualcuno abbia l’intenzione di mettere indietro le lancette dell’orologio con tali anacronistiche misure? Possibile!

È pur vero che, anche qualora questa proposta diventasse legge, rimarrebbe comunque una grida manzoniana: inascoltata, inosservata e ridicolizzata. Tuttavia la questione non finisce lì. A parte i brividi antifascisti che mette, a parte la contraddizione tra rigurgiti nazionalisti e velleità separatiste, questa iniziativa parlamentare, anche sforzandoci di prenderla sul serio, comporterebbe gravi conseguenze.

Scrive Francesco Riccardi sul Quotidiano “Avvenire”: È importante valorizzare la nostra lingua e ben vengano i previsti comitati di tutela e promozione. Senza però scadere nel nazionalismo e nel sovranismo linguistico. Nell’illusione che tutto sia traducibile in italiano, compresi i termini informatici e delle telecomunicazioni, ad esempio. Come se la globalizzazione non esistesse. Come se la lingua della scienza e dell’economia internazionali non fosse cambiata. Il greco, il latino e anche l’italiano sono state e sono ancora le lingue alla base della medicina. Ma come tutte le lingue anche questa evolve e può sfiorare il ridicolo pretendere che tutte le conferenze scientifiche si tengano in italiano o con traduzione simultanea. Proibire i corsi solo in inglese nelle università, limitare l’insegnamento delle lingue nei licei, rischia di avere come unico effetto quello di isolare il nostro sistema d’istruzione superiore e danneggiare i nostri studenti. Illudersi che basti una legge per fermare la globalizzazione o per affermare l’italiano come lingua unica della comunicazione nazionale e internazionale potrebbe costarci caro. Molto più delle multe previste, per quanto salate”.

Alle sgrammaticature istituzionali (vedi le reiterate uscite del presidente del Senato Ignazio La Russa in materia di anti-fascismo) si aggiungono quelle legislative (ne sono già state introdotte diverse). Sgrammaticature? Solo sgrammaticature?  Oppure pericolosi scivoloni politici che squalificano una maggioranza parlamentare o, ancor peggio, sintomi di malattie pregresse non ancora totalmente smaltite e debellate, pronte a riesplodere magari in modo diverso dal passato ma ugualmente deleterio per il presente e per il futuro?