I salotti mediatici che si occupano di politica, dopo avere influito negativamente sulla vicenda dell’elezione del presidente della Repubblica, spettacolarizzandola e soffiando sui fuochi fatui parlamentari e partitici, si stanno ora stucchevolmente interrogando sul futuro di Draghi e del suo governo con la stessa serietà con cui discutono su chi vincerà il campionato di calcio.
La domanda ricorrente è se Mario Draghi sia uscito rafforzato o meno dalla vicenda quirinalizia e di conseguenza ci si interroga sulle sue mosse a breve termine. Da una parte egli ritrova il suo “inventore”, ma dall’altra parte ha potuto verificare l’ostilità del Parlamento e la oscillante disponibilità dei partiti.
A mio giudizio chi esce decisamente e sostanzialmente rafforzato è Sergio Mattarella e questo mi consola e mi tranquillizza, perché vigilerà sicuramente sugli strafalcioni della politica in vena di riprendere quota a tutti i costi, ma anche sulle tentazioni draghiane di appiattimento sull’andazzo europeo e sulla visione mercatale, sul rischio di una forte accentuazione dell’approccio tecnico ai problemi mettendo la sordina ai problemi sociali, sulla ancor più forte intenzione di bypassare i partiti, fregandosene della loro vis polemica fine a se stessa.
Da Draghi non mi posso aspettare riforme corpose e profonde, per quanto concerne il fisco, la sanità, il lavoro etc., non ne ha la sensibilità, non ha la visione politica, programmatica strategica, entro cui collocarle e non può imbarcarsi in queste avventure che lo metterebbero immediatamente in balia dei pur sconclusionati partiti. Sarebbe sufficiente che potesse fare quel minimo necessario per guadagnarsi la fiducia della Ue, propedeutica all’ottenimento definitivo dei finanziamenti contenuti nel piano nazionale di ripresa e resilienza, per poi collocarli in un contesto gestionale credibile e funzionale.
Non saremo mai sufficientemente grati a Draghi per quanto sta facendo, ma non serve umiliare la politica, non serve svaccare i sindacati, non serve governare a prescindere da tutto, non serve spadroneggiare sentendosi in una botte di ferro: credo e spero che Mattarella gli tolga dalla testa ogni e qualsiasi tentazione in tal senso. I ministri vanno comunque rispettati, i partiti vanno comunque considerati, i sindacati vanno comunque ascoltati. Le tentazioni presidenzialiste sono state almeno per il momento sconfitte: il Parlamento, checché se ne dica, ha avuto un orgoglioso scatto democratico, che non deve essere sottovalutato e dequalificato a mera conservazione delle seggiole. Siamo e restiamo una Repubblica parlamentare e non presidenziale, siamo uno Stato democratico e non tecnocratico, in Italia non comanda nessuno, ma tutti hanno il loro potere previsto dalla Costituzione.
Mattarella ha avuto il grande merito di saldare il sentimento popolare con il rispetto per le Istituzioni: sono sicurissimo che continuerà ad agire così. Si parla di riforma elettorale in senso proporzionale o maggioritario. Mi auguro che i partiti non si incartino in questa diatriba di mera ed opportunistica conservazione o conquista del consenso quantitativo, ma che si preoccupino di recuperare la loro fondamentale funzione, presentando programmi seri e costruttivi, confrontandosi su questi e trovando così il consenso qualitativo dei cittadini.
In politica occorre molta pazienza che non vuol dire immobilismo, ma capacità di mediare ai livelli più alti. Anche sul piano dei rapporti con l’Europa e il resto del mondo, se è vero che Draghi ha collocato l’Italia in una dimensione prestigiosa e forte come non mai, è altrettanto vero che Mattarella non gli è da meno e saprà vigilare contro eventuali montature di testa.
Abbiamo avuto per circa vent’anni il velleitario e tragicomico fago tuto mi’ di Silvio Berlusconi, non imbarchiamoci, per l’amor di Dio, nel ben più concreto e concludente ghe pensi mi’ di Mario Draghi. Il presidente Sergio Mattarella resta, nella sua umile dimensione di servizio al Paese, la grande garanzia al riguardo: ghe pensi la Repubblica!