Mio padre era estraneo alla mentalità militare, ne rifiutava la rigida disciplina, era allergico a tutte le divise, non sopportava le sfilate, le parate etc., era visceralmente contrario ai conflitti armati. Quando capitava di ascoltare qualche notizia riguardante provocazioni fra nazioni, incidenti diplomatici, contrasti internazionali era solito commentare: “S’ag fis Mussolini, al faris n’a guera subita. Al cominciaris subit a bombardar”.
Era una lezione di politica estera, valida ancor oggi in clima di unilateralismo, di guerra preventiva, di tensioni continue. Cosa direbbe della crisi nei rapporti tra Russia e Ucraina, che stiamo vivendo con ansia mista a distacco, con la superficialità da tifoso di chi guarda una partita di calcio fino a quando non scopre di essere toccato nel vivo e allora…
Non ho idea come reagirebbe mio padre, una cosa la so molto bene: ogni volta che sentiva notizie sullo scoppio di qualche focolaio di guerra auspicava una obiezione di coscienza totalizzante. Mo s’ pól där ch’a gh’sia ancòrra quälchidón ch’a pärla äd fär dil guèri? Di ritorno dalla toccante visita al sacrario di Redipuglia si illudeva di convertire tutti al pacifismo, portando in quel luogo soprattutto quanti osavano scherzare con nuovi impulsi bellicosi. «A chi gh’à vója ‘d fär dil guéri, bizògnariss portärol a Redipuglia: agh va via la vója sùbbit…». Pensava che ne sarebbero usciti purificati per sempre.
Una cosa è certa: non si illuderebbe di poter risolvere il problema dell’invadenza russa, imponendo pesanti sanzioni: un modo diverso di fare la guerra, senza morti sul terreno militare, ma con vittime in campo economico. Le sanzioni non hanno mai risolto i conflitti. Hanno spesso rafforzato il consenso interno ai dittatori che giocano a fare le vittime. Hanno comportato più danni a chi le impone rispetto a chi le subisce. Hanno dato la triste illusione di evitare le bombe, facendo una guerra diversa, che sempre guerra rimane e che mette i presupposti per lo scoppio a breve, medio e lungo termine di altri conflitti. Ricordiamoci infatti che dietro le guerre, da che mondo è mondo, ci sono sempre motivazioni squisitamente economiche e commerciali.
Probabilmente mio padre sfodererebbe una delle sue massime, arriverebbe alla sua regola d’oro: “S’a t’ tén il man sarädi a ne t’ cäga in man gnan’ ‘na mòsca”. E qui siamo al punto nodale della diplomazia, che non significa tergiversare intorno ai problemi, giocare al rinvio, scrivere cose inutili e astratte, ma sapere sacrificare qualcosa oggi, scommettendo sulla redditività futura del sacrificio attuale.
Vengo subito al dunque. Sarebbe il caso che l’Occidente si sforzasse di garantire concretamente alla Russia di non avere alcuna intenzione di rovistare tra le macerie dell’ex impero sovietico per cavarne fuori qualche pezzo interessante, abbandonando ogni e qualsiasi mira di un imperialismo equivocamente collocato a metà strada fra attacco e difesa. Questa potrebbe essere la mano unilateralmente aperta prospettata da mio padre, una disponibilità che potrebbe addirittura arrivare a concreti aiuti agli Stati di mezzo senza alcuna pretesa di influenza strategica. Come reagirebbe la Russia? Non si lascerebbe commuovere da questo bel gesto, ma farebbe fatica a giustificare la persistente volontà egemonica retaggio dell’imperialismo sovietico.
Il finto dialogo in atto non parte dalle idee comuni e da obiettivi condivisibili, ma da visuali differenti e apparentemente inconciliabili: questo non è un confronto, è la volontà di mettere le mani avanti in caso di sicuro fallimento. C’è poco da fare, le mani chiuse lasciano presagire più pugni che carezze, le mani in tasca danno l’idea di menefreghismo, mentre avere il coraggio di aprirle comporta qualche rischio immediato, ma lancia segnali distensivi per il futuro. Si tratta di calcoli lungimiranti di cui solo gli statisti più illuminati sono capaci: qualche volta nella storia è successo. Se è vero che in politica estera bisogna stare dalla parte giusta, è altrettanto vero che non si deve avere fretta di incassare, scommettendo sul futuro di pace in cui tutti possono guadagnare. Forse sono soltanto le farneticazioni di un vecchio figlio di tanto padre.