Non c’è giorno in cui non si registri una morte sul lavoro e più di trecento morti per covid. E chi se ne frega verrebbe spontaneo osservare, guardando alla disinvoltura con cui governanti e media riportano e (non) commentano queste notizie. Mantengo la promessa e parto dall’unico personaggio delle Istituzioni che ha il coraggio di tenere gli occhi della politica sfoderati rispetto alle fette di prosciutto della convenienza: parto dalle sue litanie sulla dignità.
“La pari dignità sociale è un caposaldo di uno sviluppo giusto ed effettivo. Le diseguaglianze non sono il prezzo da pagare alla crescita. Sono piuttosto il freno di ogni prospettiva di crescita. Nostro compito – come prescrive la Costituzione – è rimuovere gli ostacoli. Accanto alla dimensione sociale della dignità, c’è un suo significato etico e culturale che riguarda il valore delle persone e chiama in causa l’intera società. La dignità. Dignità è azzerare le morti sul lavoro, che feriscono la società e la coscienza di ciascuno di noi. Perché la sicurezza del lavoro, di ogni lavoratore, riguarda il valore che attribuiamo alla vita”.
Prima delle litanie, in apertura del suo discorso alle Camere, Mattarella aveva affermato. “Non possiamo permetterci ritardi, né incertezze. La lotta contro il virus non è conclusa, la campagna di vaccinazione ha molto ridotto i rischi ma non ci sono consentite disattenzioni”.
Ebbene purtroppo la vita della nostra società è basata sulle diseguaglianze, sulla loro supina accettazione: tutti i problemi e le emergenze si scaricano sulle spalle dei più deboli. Il treno della morte sociale si ferma alla stazione di chi non ha lavoro, quello della morte fisica alla stazione di chi lavora senza protezione e di chi non viene curato in modo tempestivo ed appropriato. Fin che la politica non si accorgerà di queste contraddizioni sistemiche e si eserciterà su formule e schemi di potere, continueremo a porre le premesse per una vita senza dignità. Ogni persona deve trovarla in se stessa e non certo aspettarla da chi governa e da chi descrive la realtà.
Vado volentieri a prestito da Chiara Saraceno che sulle colonne de La stampa analizza “i buchi” del nostro sistema sanitario alla luce dei disastrosi effetti causati dal covid.
“Vi è un dato che persiste a rimanere alto, anzi altissimo: quello dei morti, che si aggira stabilmente attorno ai 400 al giorno, con una media grosso modo di 2400-2500 a settimana. Una cifra enorme, molto più alta, oggi come all’inizio della pandemia, della maggior parte dei Paesi europei con cui amiamo confrontarci e che dovrebbe non solo indurci a essere più cauti nell’allentare restrizioni e controlli e nel dichiarare il “liberi tutti”, ma anche imporre una riflessione (auto) critica su ciò che non va nel sistema di cure. Oggi, come lo scorso anno e l’anno prima, il covid 19 provoca molti più morti in Italia che, ad esempio, in Germania, Francia, Spagna, Inghilterra”.
Dal momento che in Italia è molto alta la percentuale dei soggetti vaccinati, c’è, come si suole dire, qualcosa che tocca. Chiara Saraceno prosegue: “L’attenzione è tutta sulle terapie intensive e più in generale sugli ospedali e sulla loro tenuta, laddove i servizi sanitari di prossimità sono ancora per lo più da venire, nonostante la loro mancanza sia stata denunciata già durante la prima ondata come una delle cause dell’elevata mortalità per covid 19 in Italia, rispetto a Paesi con più consolidato sistema di sanità territoriale. Non solo, a differenza di due anni fa e dell’anno scorso, quando il numero dei morti era giustamente quello su cui più si insisteva per rappresentare la gravità della situazione, oggi viene presentato quasi come una nota a margine di una narrativa tutta positiva, perdendo tutta la sua drammaticità sul piano comunicativo e del discorso pubblico. Come se i morti, e il loro alto numero, fossero delle vittime accidentali di un processo altrimenti positivo, non la testimonianza sia del fatto che la pandemia è lungi dall’aver abbandonato la sua presa, anzi si è concentrata sulle situazioni più vulnerabili non solo a livello biografico, ma per deficit di cure adeguate, sia, appunto, che qualche cosa non funzione nel sistema di cura”.
E chi ci governa a livello centrale e periferico? Continua a oscillare colpevolmente fra i messaggi cautelari e le forzature aperturistiche, senza concretizzare uno straccio di intervento veramente significativo per il potenziamento a breve delle strutture sanitarie. In due anni non si è fatto niente a tale riguardo. Si poteva e doveva fare qualcosa di immediato oltre che scaricare tutte le colpe possibili e immaginabili sui no vax. Fa ironico ribrezzo l’enfasi con cui viene prospettata e vissuta la liberazione dalle mascherine all’aperto se confrontata con la rassegnata accettazione delle centinaia di morti giornaliere: l’importante è che la macchina circense vada avanti, il resto è solo un fastidioso inciampo.
Conclude Chiara Saraceno: “Accanto alla campagna vaccinale, alle restrizioni e ai controlli, avrebbe dovuto esserci un intervento sistematico di rafforzamento della medicina di base e territoriale. Se ne parla nel Pnrr come obiettivo futuro, ma avrebbe dovuto essere al centro del contrasto alla pandemia in parallelo alla campagna vaccinale. Che non sia avvenuto, lo paghiamo con il sovrappiù di morti rispetto ad altri Paesi e il dolore delle loro famiglie. Sarebbe opportuno evitare, almeno, per decenza, di sottovalutarle e ridurle a fenomeno secondario”.
Il governo Draghi è deludentissimo su questo piano: se il buongiorno del Pnrr si vede dal mattino di un anno di inerzia, stiamo freschi. Nell’ultima conferenza stampa Mario Draghi ha escluso categoricamente un suo futuro impegno politico. Ne prendo atto con soddisfazione. Manca un anno al termine del suo attuale governo. Giustamente lo sta affrancando dai condizionamenti dei partiti, ritenendoli incapaci di proposte serie e costruttive. Ma lui è e sarà capace di battere qualche colpo efficace per salvare vite umane al di là dell’avvolgente e ansiogena campagna di vaccinazione e prima di addentrarsi nel ginepraio dei fondi europei? Mi aspettavo molto di più anche se non è mai troppo tardi. Le manganellate agli studenti, i compromessoni all’italiana sulla giustizia, le contraddizioni nella politica scolastica, l’inerzia sul terreno sanitario, non lasciano molto spazio alla speranza. Oso dare un generico consiglio a Mario Draghi (chi sono io per fare una simile cosa!): legga e rilegga il discorso di Mattarella e trovi in esso gli spunti per dare “dignità” all’azione del suo governo, abbandoni ogni e qualsiasi presunzione di bravura, non giochi di rendita sulla sua credibilità, abbia il coraggio di mettersi in discussione, di smuovere le acque. È andato a Palazzo Chigi per affrontare il presente, non per riscuotere gli applausi conquistati nel passato e nemmeno per parlare solo di futuro.