Non sono un costituzionalista, sono un ammiratore della Costituzione e penso di non sbagliarmi se ritengo che l’istituto del referendum abrogativo sia stato introdotto dai padri costituenti come una sorta di extrema ratio contro l’immobilismo parlamentare. Quando il Parlamento dorme è opportuno che i cittadini suonino la sveglia.
Ho da sempre l’impressione che la Corte Costituzionale, cui spetta la decisione sull’ammissibilità dei referendum richiesti dai cittadini, abbia la preoccupazione di non disturbare più di tanto il sonno parlamentare, funzionando più come avvocato difensore del legislatore che come giudice verificatore del rispetto del dettato costituzionale. Qualcuno la chiama invasione di campo politica, io la considero “amicizia del giaguaro”.
I cittadini, più o meno spontaneamente, chiedono di abrogare una norma inadeguata, si mobilitano per raccogliere le firme, presentano la domanda e, in molti, troppi casi, se la vedono respinta con argomentazioni arzigogolate al limite del cervellotico. I cavilli giuridici si possono sempre trovare e alla fine servono a lasciare le cose come stanno, togliendo ai cittadini la possibilità di pronunciarsi seppure in modo tranchant.
Non assegno un grande valore al referendum abrogativo, preferirei senz’altro che il Parlamento ascoltasse gli umori popolari e si desse autonomamente una mossa svolgendo al meglio la propria funzione. Ma, come detto, se il legislatore latita, il popolo ha tutto il diritto di alzare la voce senza che qualcuno gli metta la sordina.
Ho il massimo rispetto per i componenti della Corte Costituzionale, ma ciò non mi esime dall’esprimere motivati dubbi e perplessità sulle loro esercitazioni più accademiche che giuridiche. Alla fine della fiera il cittadino ha l’ennesima impressione di essere dribblato e teme che il potere trovi sempre il modo di sgattaiolare fuori dal pressing popolare.
Se devo essere sincero non ho capito perché i referendum sulla cannabis, sull’eutanasia, sulla responsabilità dei giudici siano stati giudicati inammissibili: sono un incompetente, ma dietro ci vedo molta difesa di facciata di certi principi, che rischia di diventare mera conservazione di sistema, mera paura di mettere in discussione lo status quo.
È pur vero che ci sarebbe da discutere anche sulla spontaneità delle iniziative referendarie dietro le quali c’è spesso troppa mobilitazione partitica: i partiti farebbero forse meglio ad impegnarsi in Parlamento piuttosto che cercare consensi promuovendo raccolte di firme su argomenti a presa rapida. La democrazia diretta scantona purtroppo nella pericolosa illusione di risolvere i problemi con l’accetta referendaria, mentre la politica è l’arte della mediazione tra i rappresentanti del popolo. Ciò non toglie che qualche eccezione possa far bene alla regola senza che ci sia chi vuol essere più regolare della regola.