Il manganello mai e poi mai

Lamorgese e gli studenti picchiati in piazza a Torino: “Gli anarchici volevano lo scontro fisico”. La titolare del Viminale in Parlamento: fatti gravi, con i giovani serve confronto ma ho fiducia nelle forze dell’ordine. Autonomi e antagonisti cercavano lo scontro con la polizia; in mezzo ci sono rimasti gli studenti innocenti. È questa la verità della ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, che ieri ha risposto al Parlamento sugli incidenti del 23 e 28 gennaio. C’è infatti un filo rosso, nella ricostruzione della ministra, che lega Roma a Torino, a Napoli, a Milano: dietro le quinte ci sarebbe una regia ad opera dei centri sociali, che poi al momento giusto si sono tirati da parte, e nel mezzo a prendersi le manganellate ci sono rimasti gli studenti dei licei.

Così Francesco Grignetti su La stampa sintetizza la versione del Viminale in ordine agli scontri avvenuti in piazza durante le recenti manifestazioni studentesche. Aspettavo e mi illudevo che qualcosa fosse cambiato nell’approccio governativo alla piazza: niente di nuovo sotto il sole. Ammetto che la gestione dell’ordine pubblico non sia facile. So benissimo che gli estremisti si inseriscono nelle manifestazioni con l’intento provocatorio di creare disordini. Capisco l’imbarazzo della ministra: proprio nei giorni in cui il presidente Mattarella pronunciava parole sacrosante (è doveroso ascoltare la voce degli studenti, che avvertono tutte le difficoltà del loro domani e cercano di esprimere esigenze, domande volte a superare squilibri e contraddizioni) la polizia manganellava a tutto spiano gli studenti. Sono stato giovane studente anch’io e so come spesso la protesta parta da questioni marginali o comunque secondarie (la seconda prova scritta degli esami) per nascondere il vero e profondo disagio e l’insoddisfazione verso il sistema scolastico.

Nel caso attuale c’era di mezzo anche la gravissima morte di un giovane impegnato in un’esperienza di scuola-lavoro. Sempre Mattarella al riguardo ha detto: “Dignità è azzerare le morti sul lavoro, che feriscono la società e la coscienza di ciascuno di noi. Perché la sicurezza del lavoro, di ogni lavoratore, riguarda il valore che attribuiamo alla vita. Mai più tragedie come quella del giovane Lorenzo Parelli, entrato in fabbrica per un progetto scuola-lavoro. Quasi ogni giorno veniamo richiamati drammaticamente a questo primario dovere della nostra società”.

Non posso comunque accettare le manganellate della polizia: non può essere questa la risposta e credo che Mattarella, fra i tanti, abbia voluto bacchettare anche la ministra Lamorgese. Ricordo ancora oggi con grande commozione quando, dopo la sofferta decisione di interrompere il lavoro per continuare gli studi a livello universitario, ebbi la possibilità di usufruire del presalario, una agevolazione che la rivolta studentesca aveva ottenuto fosse allargata nella sua applicazione temporale e sociale: piansi di gratitudine verso i colleghi che avevano lottato anche per me. Eravamo nel sessantotto.

La protesta non è inutile e tanto meno dannosa: è un fatto di crescita, che non deve essere esorcizzato con interventi repressivi. Ai giovani però mi permetto di consigliare un bagno di sano idealismo ed una doccia calda di partecipazione, realismo e disponibilità all’impegno concreto (cosa è l’esame di oggi in termini di fatica e di esigenza nei confronti degli esami di un tempo? Ne so qualcosa…).

Al governo e a tutte le istituzioni consiglierei di riflettere sulle parole di Matterella, non tanto per applaudirle, ma per metterle in pratica, correndo anche qualche rischio. Posso dirla grossa? Preferisco rischiare una vetrina rotta piuttosto che nascondermi dietro una manganellata sulla testa di uno studente colpevole di chiedere, magari con troppa veemenza, di essere ascoltato ed aiutato a superare le difficoltà.