Il referendum sull’eutanasia è inammissibile. Lo ha stabilito la Corte costituzionale che si è riunita in camera di consiglio per discutere sull’ammissibilità della consultazione per l’«Abrogazione parziale dell’articolo 579 del Codice penale (omicidio del consenziente)». In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio comunicazione e stampa fa sapere che la Corte ha ritenuto inammissibile il quesito referendario perché, a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili. La sentenza sarà depositata nei prossimi giorni.
Tra le tante reazioni di segno negativo e positivo scelgo quella prudente del costituzionalista Alfonso Celotto, oggi avvocato di +Europa (un partito politico italiano di orientamento europeista e liberale, nato dalla fusione fra i Radicali Italiani e il movimento Forza Europa, che si è presentato con una propria lista elettorale alle elezioni politiche italiane del 2018), che premette: «Era un quesito complesso». Poi dice: «Ci abbiamo sperato perché l’Italia, in una società che cambia, ha bisogno di una regolazione della eutanasia. Ma per capire bene le ragioni per cui la Corte non ha ritenuto ammissibile il referendum dobbiamo attendere le motivazioni».
Io non attendo le motivazioni e azzardo un mio giudizio: è uno schifo! Possibile che per un problema così delicato, che tocca nel vivo persone disperatamente “condannate” a vivere, non si riesca a trovare una soluzione ragionevole, che consenta di mettere fine alle sofferenze di chi non ce la fa più a sopportarle. Il Parlamento da anni si nasconde dietro questioni di principio e non trova il bandolo della matassa per riformare una legislazione vecchia, antiquata e disumana. La magistratura, a cui vengono sottoposti i casi concreti, ricorre alla Consulta per avere lumi sul come giudicare questioni così sensibili e imbarazzanti. La Corte Costituzionale invita ripetutamente il Parlamento a compiere il suo compito di legiferare, mettendo un minimo di ordine in un quadro normativo a dir poco paradossale. Il Parlamento non ha il coraggio di affrontare la situazione è così la patata bollente va nelle mani dei cittadini, che usano lo strumento del referendum abrogativo per smuovere quanto meno le acque. A quel punto la Consulta non ammette il referendum, ritenendo il quesito referendario troppo semplicistico e poco garantista e tutto ritorna daccapo, in un macabro ping-pong sulla pelle di chi aspetta angosciosamente di poter finalmente disporre della propria vita, non per sciuparla, ma per interromperla laddove non è più tale.
Non siamo un Paese civile: ci nascondiamo dietro i principi e ci voltiamo dall’altra parte. È una vergogna. Non capisco nemmeno l’intransigenza cattolica. Non riesco a capacitarmi del fatto che il Padre Eterno non comprenderebbe i drammi a monte e a valle della decisione di morire, sarebbe inesorabile nel cacciare dalla sua Chiesa chi osa interrompere la propria vita e chi lo aiuta in questa drammatica decisione. Ci viene trasmessa l’idea di un Dio che giudica gli uomini con un cronometro in una mano ed un’enciclopedia medica nell’altra. Indro Montanelli le chiamava “beghe di frati”.
Proviamo a ripensare al dramma di Piergiorgio Welby e di sua moglie Mina. Pensate, dopo anni di sofferenze indicibili, un uomo decide di smettere di vegetare e intende morire delicatamente: non si può fare perché i politici leccapreti di comodo non vogliono ed intendono assecondare il dogmatismo cattolico per guadagnarsi qualche sporco voto clericale. Nemmeno la consolazione del funerale religioso, concesso peraltro ai più grandi delinquenti politici e mafiosi.
Non sono interessato a leggere le sofisticate motivazioni alla base della decisione della Consulta, sono solo portato a immedesimarmi nel dramma di tante persone che chiedono una mano, badate bene, non per vivere meglio, ma addirittura per morire in pace. E noi non gliela allunghiamo. Vergogna!