Riprendo dall’agenzia di stampa AGI una notizia, che riporto di seguito, con grande trepidazione al limite della più angosciosa delle incredulità.
Il Papa Emerito Benedetto XVI viene chiamato pesantemente in causa nel rapporto pubblicato oggi, su impulso della Chiesa tedesca, riguardo i casi di pedofilia che si sono verificati tra l’immediato dopoguerra e il 2019 nella diocesi di Monaco di Baviera, di cui lui è stato per anni titolare.
Secondo il libro bianco nei cinque anni passati alla guida della diocesi di Monaco e Frisinga tra il 1977 ed il 1982, una delle più antiche ed autorevoli di Germania, l’allora arcivescovo Joseph Ratzinger non avrebbe bloccato in quattro diversi casi alcuni sacerdoti accusati di abusi.
L’accusa è lanciata dallo studio legale Westpfahl Spilker Wastl, che ha condotto l’inchiesta su incarico delle autorità ecclesiastiche.
Il rapporto documenta centinaia di casi di abusi commessi durante quasi otto decenni, e punta l’indice sui vertici dell’arcidiocesi che si sono succeduti in questo lungo lasso di tempo.
A seconda dei casi ci si sarebbe regolati secondo una gamma di comportamenti che vanno dall’irresolutezza al vero e proprio tentativo di insabbiamento.
Nel corso dei cinque anni in cui a Monaco c’era Ratzinger alcuni abusi sarebbero stati commessi da due religiosi che prestavano assistenza spirituale ai giovani e nei confronti dei quali non si presero provvedimenti.
Oltre a ciò gli estensori del rapporto ritengono “poco credibile” la versione data dallo stesso Ratzinger per spiegare gli accadimenti, nonostante un’autodifesa condotta “con forza”. Anzi, il futuro Papa non avrebbe mostrato “alcun interesse riconoscibile” nell’agire contro i responsabili.
I numeri sono impressionanti: 235 persone responsabili di abusi, 497 vittime (nel 60 percento dei casi si tratta di minori) e nella maggior parte dei casi di sesso maschile. La maggioranza dei crimini sarebbe stata commessa negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso.
Risale invece al 1980 il caso di un parroco identificato solo come Peter H., che proprio in quell’anno venne spostato dalla diocesi di Essen e quella di Monaco e Frisinga perché accusato di pedofilia, azioni che poi avrebbe continuato a commettere.
Secondo il rapporto, Ratzinger era pienamente a conoscenza dei trascorsi del religioso e non reggerebbe la versione data da lui stesso per cui non sarebbe stato presente alla riunione in cui venne deciso il trasferimento. A detta di Ulrich Wastl, uno degli estensori, al contrario il futuro Papa “molto probabilmente” era a conoscenza di ciò che accadeva nella arcidiocesi e aveva il dovere di “conoscere gli accadimenti”.
Alla conferenza stampa di presentazione del dossier non era presente l’attuale titolare della diocesi di Monaco e Frisinga, il cardinale Reinhard Marx, che lo scorso anno presentò addirittura le sue dimissioni come segno di protesta per il fenomeno della pedofilia nella Chiesa. Papa Francesco gliele respinse. Ci si attende una sua presa di posizione nelle prossime ore. La sua assenza è stata criticata dagli autori del rapporto.
Degli oltre duecento responsabili di abusi, 173 erano sacerdoti. Delle quasi cinquecento vittime 247 erano di sesso maschile, nel 60 percento dei casi bambini e adolescenti tra gli 8 e i 14 anni, e 182 di sesso femminile. In una settantina di casi l’identità della vittima non è stata accertata.
Non prendo per oro colato quanto emerge da questa indagine, ma non posso passare oltre con un’alzata di spalle. Così come non mi convincono le affermazioni di monsignor Massimo Camisasca contenute in una intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera.
«È una manovra contro Ratzinger. E viene da dentro la Chiesa». Così monsignor Massimo Camisasca — 75 anni, fino a pochi giorni fa vescovo di Reggio Emilia, autore di settanta libri tra cui la storia di Comunione e Liberazione — giudica l’accusa rivolta al Papa emerito di aver coperto, negli anni in cui era arcivescovo di Monaco di Baviera, casi di pedofilia.
Non prendo in considerazione la tesi complottista. Fin dall’inizio fu l’atteggiamento clericale, che intendeva stoppare sul nascere l’emergere di una realtà sconvolgente: ce l’hanno con la Chiesa! Si è partiti cioè col vittimismo: povera Chiesa…da quanti spioni deve difendersi, quanti traditori ha nel suo seno, quanti corvi le girano intorno, quanti attacchi subisce! Ricordo quando fui costretto ad interrompere l’omelia di un sacerdote che, alludendo all’emersione del fenomeno dei preti pedofili, rigirava la frittata difendendo la Chiesa in quanto vittima dell’ondata mediatica sugli scandali di carattere sessuale. Mi sentii in dovere di controbattere che semmai le vittime erano i bambini e tutti i soggetti segnati da queste terribili vicende. Il meccanismo difensivo è sempre lo stesso, ma non tiene.
In seconda battuta parte la contraerea delle “mele marce”, la difesa a uomo: quando la realtà emerge in modo clamoroso, allora si tenta di buttarla sul discorso della quasi inevitabilità che in una istituzione possano esserci componenti che sbagliano senza per questo dovere squalificare tutto e tutti. L’argomento è decisamente più furbo, assomiglia molto alle difese politiche, tenta di confondere le acque con la lotta tra male e bene presente anche nella Chiesa. È certamente vero: non si può pretendere che tutti siano stinchi di santo, ma questo non può comportare l’assoluzione del “chi è senza peccato scagli la prima pietra”.
Che mi stupisce ed irrita è ancor più la linea del Piave adottata da monsignor Camisasca laddove afferma: “Non bisogna mai misurare gli atteggiamenti di decenni fa con quelli che sarebbero doverosi oggi, a partire dalla coscienza più matura della gravità dei fatti e la conseguente sensibilità che si è sviluppata a ogni livello della società. Quando io ero piccolo certe punizioni corporali, ad esempio, non erano ritenute abusi ed erano viste come assolutamente normali. Per fortuna oggi non è più così». Siamo al discorso della contestualizzazione temporale, che non può essere ritenuta un’attenuante ma semmai un’aggravante: gli errori del passato remoto non possono coprire quelli del passato più recente, ne possono dare una spiegazione, ma non una giustificazione.
«Non capisco perché la Chiesa francese e quella tedesca abbiano scelto la strada di commissioni “indipendenti”, che in realtà indipendenti non sono, perché viziate, almeno in alcuni loro membri, da un pregiudizio anticattolico»: monsignor Camisasca solleva un’eccezione di carattere procedurale, che lascia purtroppo trapelare una debolezza sostanziale della linea difensiva. Vedo in filigrana nella sua intervista, pur concedendogli la buona fede, l’imbarazzato e tendenzioso atteggiamento riconducibile ad una sorta di “ragion di Chiesa”.
Mi crea grande sofferenza la piaga della pedofilia a livello clericale e documentarla con insistenza può comportare l’effetto di rigirare il coltello nella ferita. Non per questo bisogna tacere, anzi occorre ricordarsi che il medico pietoso fa la piaga puzzolente. Non so fino a qual punto il papa emerito possa essere messo sul banco degli imputati per la così grave mancanza di avere agito in modo omertoso di fronte a certe realtà. Solo l’idea mi sconcerta. Non vorrei nemmeno che ci fosse una sorta di accanimento terapeutico. Tuttavia le difese d’ufficio fanno più male che bene all’allora cardinale Joseph Ratzinger. Meglio lasciare che la verità emerga senza sconti e poi lavorare alacremente per prevenire simili aberrazioni.
Ricordo la disperazione con cui don Domenico Magri, un prete amico, mi raccontava l’episodio di quell’altolocato sacerdote che si faceva masturbare dai chierichetti, avanzando la scusa di avere in tal senso l’autorizzazione papale. La santa inquisizione metteva sotto tortura e al rogo per molto meno. Non voglio mettere al rogo nessuno, non pretendo la gogna per gli uomini di Chiesa che si sono macchiati di reati a livello di abusi sessuali, non accetto semplicistiche e comode generalizzazioni, rifiuto categoricamente la maniacale colpevolizzazione dei sacerdoti a prescindere. La verità deve essere però ricercata e solo da essa si può virtuosamente e umilmente ripartire dopo avere fatto tutto il possibile e l’impossibile per aiutare le vittime degli abusi.
Posso capire la sofferenza provocata in Joseph Ratzinger dallo scoperchiamento di cloache da cui gli arrivano addosso schizzi puzzolenti. Dopo le sue coraggiose dimissioni gli ho voluto più bene. Non voglio strumentalizzare la teoria del “non poteva non sapere”, che aprirebbe un vero e proprio clima di caccia alle streghe, in cui peraltro la Chiesa è storicamente specializzata. Dopo i suoi auspicabili, difficili, sinceri e onesti chiarimenti, di bene gliene vorrei ancor di più.