A volte andare in crisi è la premessa per riuscire a riprendere certi discorsi in modo nuovo e positivo. Dipende dall’entità e dalla vastità delle cose che non vanno, perché, nel caso in cui ci si accorga che (quasi) tutto non funziona, si può essere presi dallo sconforto e non credere più nella ripresa.
Il sistema politico italiano rischia proprio il collasso paralizzante: troppe crisi si intrecciano in una matassa che mette a soqquadro la democrazia. Cominciamo dai partiti. Vivono una crisi nera di idee, valori, strategie e classi dirigenti. Il bagno realistico, a cui sono stati indotti dalla vicenda dell’elezione presidenziale, poteva dar loro una scossa, invece li ha incalliti in un gioco al massacro: sono alla ricerca di identità, ma non hanno la forza e la freddezza di ricominciare daccapo e quindi partono dalla fine, vale a dire dalla disperata ansia di apparire ciò che (non) sono.
Faccio qualche esempio, preso dall’attuale scenario partitico, peraltro già assai precario ed evanescente. La Lega tenta di riprendere il suo feeling federalista con i territori a cui è particolarmente affezionata: intenzione positiva! Ebbene, al mattino si alza autonomista e fa colazione con Zaia, al pomeriggio si sente governista e fa merenda con Giorgetti, alla sera vuole andare a cena con Giorgia Meloni a lume di sovranismo. Non si può fare.
I partitini di mezzo vorrebbero occupare il centro della scena: intenzione velleitaria, ma comunque semplificatoria e rappresentativa del moderatume socio-politico. Ebbene, succede come nell’immaginario paterno, in cui si rideva ironicamente delle ipotetiche fughe con l’amante, con i due che scappano e cominciano a litigare scendendo le scale: della serie la politica e i partiti sono una cosa seria. Il centro appare come una fuga dalla realtà, una brevissima luna di miele, da cui ben presto si deve tornare per fare comunque i conti con i problemi di una società, che non accetta il gioco ostruzionistico di centro-campo, ma pretende azioni d’attacco e tiri in porta.
La destra, patriotticamente titolata “Fratelli d’ Italia”, scopre la bellezza purificatoria del freezer dell’opposizione a tutto. Ebbene, in un mondo fatto di pragmatica gestione della realtà, non c’è spazio per nostalgie nazionalistiche e riverniciature di storie antiche, che possono raggranellare voti, ma che non consentono di arrivare al potere e di esercitarlo.
La sinistra è una e trina: quella dell’antipolitica di grillina memoria, quella dell’inconcludenza perbenista del Pd, quella pseudo-massimalista e gruppettara di Leu e dintorni. Sarebbe in teoria l’unica coalizione con un minimo di senso democratico, ma in pratica risulta un laboratorio continuo da cui non esce alcun prodotto finito.
Se sono in crisi i partiti, principali e insostituibili veicoli della partecipazione democratica, i quali non hanno più niente di tradizionale e storico, ma non hanno altresì nulla di nuovo da offrire, è in crisi anche quel po’ di democrazia diretta consentito dal nostro sistema. Mi riferisco ai referendum, che in passato hanno avuto una funzione a suo modo rivoluzionaria, si pensi a quello sul divorzio, ma che oggi vengono strumentalizzati e inflazionati a monte e stoppati a valle.
Un altro pilastro sempre più gracile della costruzione democratica è rappresentato dai sindacati dei lavoratori e delle imprese: sono in profonda crisi di credibilità e rappresentatività, attraverso di essi non passa più né la protesta né la proposta: sono entità autoreferenziali, che vivono di ricordi gloriosi e di schemi superati. Forse è la crisi più pericolosa, in quanto le forze sociali dovrebbero raccogliere le istanze più immediate della gente, incanalandole verso le istituzioni, fare da cinghia di trasmissione del disagio che invece rimane una mina vagante e inesplosa.
In crisi sono le Istituzioni, causa-effetto delle crisi di cui sopra: il Parlamento, prospetticamente dimezzato nei numeri e politicamente impoverito nella qualità, il Governo commissariato con la scusa dell’emergenza, ma per il vero motivo della incapacità della classe politica a governare il Paese, la Consulta imbalsamata nelle procedure e politicizzata nelle decisioni, la Magistratura incasinata, inefficiente e sconclusionata, le Regioni invadenti e padreternizzate.
Esiste solo il colto, esperto e rassicurante punto di riferimento di Sergio Mattarella, che restituisce equilibrio, obiettività e speranza a livello di sistema. È il caso di andare a prestito da Andrea Chenier: «In cotanta miseria…sol l’occhio vostro esprime umanamente qui un guardo di pietà, ond’io guardato ho a voi si come a un “politico” (angelo mi sembrerebbe troppo). E dissi: ecco la bellezza della “democrazia” (vita sarebbe esagerato)». Purtroppo i pronunciamenti e i comportamenti di Mattarella (rappresentano la coscienza critica del giorno prima e del giorno dopo), sono spesso sovrastati dalla fuffa anti-democratica imperante.
Mio padre raccontava di un suo collega muratore, che mentre lavorava, seguendo i suoi silenziosi pensieri, ripeteva con una certa frequenza un’ermetica esclamazione: “Ma…”. Non aggiungeva altro, lasciando intendere chissà quale angoscia interiore. La padrona di casa, stanca di ascoltare questo strano ritornello osò chiedere conto: «Parché, muradôr, disol sémpor “ma”?». L’interessato, dopo una brevissima pausa, non trovò di meglio che rispondere con un ulteriore e laconico: «Ma…».
Si potrebbe concludere così anche la mia odierna riflessione. Una testarda e sofferta serie di “ma” senza risposta, una serie di pessimistici dubbi senza respiro e apparentemente senza prospettive. Molti anni or sono, in un confronto televisivo tra l’intelligente e brillante giornalista-conduttore Gianfranco Funari e l’allora segretario del partito popolare Mino Martinazzoli, uomo di grande profondità etica e culturale, il politico, interrogato e messo alle strette, non si fece scrupolo di rispondere in modo piuttosto anticonvenzionale ed assai poco accattivante, ma provocatoriamente affascinante, nel modo seguente (riporto a senso): «Se lei sapesse quante poche certezze ho e da quanti dubbi sono macerato… Nutro perplessità verso chi ostenta troppe certezze». L’esatto contrario dell’attuale cliché che vuole tutti pronti a sputare sentenze su tutto. Forse nelle sagge parole di Martinazzoli c’è un piccolo spiraglio nella notte oscura delle mie elucubrazioni politiche.