Al pisatòri móndiäl

Durante Olimpiacos-Atalanta (0-3 in Europa League), l’attaccante ucraino dell’Atalanta Ruslan Malinovskyi è stato il protagonista della serata con due reti realizzate in due minuti tra il 67’ e il 69’. E soprattutto per una dedica speciale alla sua Ucraina. Dopo la prima rete il giocatore atalantino ha infatti alzato la maglia nerazzurra, esibendo una t-shirt bianca con la scritta «No war in Ukraine». Analogo episodio si era verificato la sera precedente, in Champions League: il compagno di nazionale Yaremchuk (del Benfica) aveva segnato e mostrato una maglia con il Tridente, lo stemma della loro nazione.

Viene spontaneo compiacersi di questi gesti, che utilizzano, anche se superficialmente e spettacolarmente, lo sport per scopi positivi, nel caso di specie per rivendicare l’autonomia di una nazione tartassata dalla prepotenza imperialistica. Il tutto però dura poco, il tempo di arrivare agli spot di cui sono infarcite le cronache calcistiche europee: esce in primissimo piano la società Gazprom, l’azienda di stato con cui Mosca fornisce gas ai Paesi stranieri, a quelli dell’Unione Europea in particolare.

Nello stesso tempo Gazprom però è stata anche un’arma di grande sportwashing del governo russo. Non solo perché sponsorizza da anni lo Schalke 04, squadra di quella Germania tra le maggiori importatrici di gas da Mosca, ma anche da dieci anni è sponsor della Uefa, alla quale ha versato oltre 300 milioni in questo decennio e oggi, dopo il recente rinnovo, è sponsor per tre competizioni: Champions League, le competizioni legate alle nazionali ed Euro 2024. In virtù di questo legame con Gazprom San Pietroburgo, la città di Putin, ha ottenuto la finale di Champions League quest’anno e lo spostamento a Parigi a causa delle tensioni geopolitiche è stato piuttosto problematico.

La pubblicità non è soltanto l’anima del commercio, ma la cattiva coscienza del mondo. L’etica trova un ostacolo insormontabile nell’affarismo imperante a tutti i livelli. La contraddizione, prontamente evidenziata in televisione dal bravo ed acuto giornalista Antonio Padellaro, è clamorosa ed emblematica della difficoltà, al limite dell’impossibilità, di far prevalere i valori fondamentali sugli interessi economici.

Durante la recente vicenda dell’elezione presidenziale per il Quirinale, ho seguito le trasmissioni speciali messe in onda su La sette, canale televisivo che si è specializzato in campo politico, riuscendo, peraltro in modo ammirevole, a coniugare i temi di fondo con le chiacchiere da salotto. Ebbene, mi sono preso la briga di segnare gli annunci pubblicitari trasmessi con sistematica e pelosa cura: ne ho contati un’ottantina provenienti dalle più diverse aziende italiane e straniere. Questa televisione vive sulla pubblicità che riesce a conquistarsi offrendo in contraccambio una audience notevole alla faccia dell’apparente “pallosità” dei palinsesti puntati su argomenti politici. Complimenti, verrebbe da dire.

Fino a che punto questa dipendenza pubblicitaria non influirà sulla obiettività delle trasmissioni sponsorizzate? C’è poco da fare, anche le migliori intenzioni editoriali e giornalistiche finiranno prima o poi per essere condizionate da questo strapotere economico. Persino la televisione dei vescovi, mi riferisco a Tv 2000, deve fare i conti con la pubblicità: per ora siamo solo agli spot in testa o in coda a messe, rosari, liturgie, omelie, etc etc.: non mi stupirei se si arrivasse a interrompere sul più bello la diretta della celebrazione eucaristica, inserendo un messaggio pubblicitario prima dell’omelia, prima dell’elevazione, prima della comunione…

Torno a bomba, vale a dire a Putin e a chi vuole (giustamente) combatterlo usando (velleitariamente) le armi spuntate delle sanzioni: siamo tutti sulla stessa barca e nessuno può essere buttato a mare, perché strettamente e spregiudicatamente legato agli altri. Se Putin cade in acqua trascina con sé parecchia gente. L’Uefa è lì a dimostrarlo, imbarazzata dalle intemperanze etiche dei calciatori ucraini, ma richiamata all’ordine dall’esigenza di quadrare i bilanci, dipendenti anche e soprattutto da Putin e dal suo impero.

Quando mia madre osava ingenuamente revisionare il fascismo, addebitandogli solo gli errori finali dell’alleanza con Hitler e della discesa in guerra al suo fianco, mio padre riportava il male alla radice e quando la radice è malata c’è poco da fare. Ricordo i rari colloqui tra i miei genitori in materia politica: tra mio padre antifascista a livello culturale prima e più che a livello politico e mia madre, donna pragmatica, generosa all’inverosimile, tollerante con tutti. «Al Duce, diceva mia madre con una certa simpatica superficialità, l’à fat anca dil cozi giusti…». «Lasemma stär…», rispondeva mio padre dall’alto del suo antifascismo, lasciandosi andare a sintetizzare la parabola storica di Benito Mussolini con questa colorita immagine: «L’ à pisè cóntra vént…».

Putin è il peggior frutto del regime sovietico: una ignobile combinazione tra comunismo, fascismo e nazismo. Ci tiene in scacco non tanto e non solo perché ha enormi disponibilità di riserve valutarie e commerciali, ma perché gli assomigliamo un po’ tutti e noi occidentali facciamo la parte del bue che dà del cornuto all’asino. Non ci resta che sperare “nelle sue pisciate contro vento”, cercando di non imitarlo penosamente anche in questo.