Un Presidente a cellette

Mio padre nella sua travolgente e coinvolgente passione per l’opera lirica riusciva a tenere le distanze rispetto ai fanatismi dei vociomani. Tanto per esser chiari non era un patito dell’acuto per l’acuto, men che meno dell’acuto sparato alla “viva il parroco”; apprezzava certamente l’esuberanza e la sicurezza vocali, che sintetizzava in un modo di dire curioso ma plastico, rivolto soprattutto ai soprani, “la va pr’aria”, ma soprattutto si entusiasmava per la frase incisiva, per l’interpretazione trascinante, per gli interpreti “chi fan gnir i zgrizór”, per i cantanti che lasciano un segno forte nel personaggio più che nel ruolo. Coniugando il calcio con il canto amava dire simpaticamente che un’azione di gioco senza tiro in porta è come una romanza d’opera lirica senza acuto, lascia il tempo che trova.

Il paterno e delicato messaggio di fine anno e di fine settennato del presidente Sergio Mattarella può essere interpretato come una romanza cantata con stile appropriato, con forza interpretativa molto credibile, ma soprattutto con un gran bell’acuto finale, che merita di essere di seguito riportato.

“Alle nuove generazioni sento di dover dire: non fermatevi, non scoraggiatevi, prendetevi il vostro futuro perché soltanto così lo donerete alla società.” Così il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in un passaggio del suo discorso di fine anno, si è rivolto alle ragazze e ai ragazzi delle nuove generazioni. Il Capo dello Stato ha citato il professor Pietro Carmina morto nel drammatico crollo a Ravanusa, in un passaggio della lettera con cui si era congedato dagli studenti prima di andare in pensione. “Faccio mie – con rispetto – queste parole di esortazione così efficaci – ha detto Mattarella – che manifestano anche la dedizione dei nostri docenti al loro compito educativo” e citando il professore ha detto: “Usate le parole che vi ho insegnato per difendervi e per difendere chi quelle parole non le ha. Non siate spettatori ma protagonisti della storia che vivete oggi. Infilatevi dentro, sporcatevi le mani, mordetela la vita, non adattatevi, impegnatevi, non rinunciate mai a perseguire le vostre mete, anche le più ambiziose, caricatevi sulle spalle chi non ce la fa. Voi non siete il futuro, siete il presente. Vi prego: non siate mai indifferenti, non abbiate paura di rischiare per non sbagliare”.

Penso ci sia qualcosa di personale in queste parole di commiato: me ne vado, perché il peso degli anni oltre che la scadenza costituzionale me lo consigliano caldamente, ma voglio precisare di non essere vecchio e ve lo dimostro credendo nel futuro e nei suoi protagonisti, i giovani. Una lezione per me, che, invecchiando, ho la tendenza a dubitare se non addirittura a sparlare dei giovani.

Se andiamo oltre, troviamo anche l’invito pressante a immischiare sempre e comunque la politica non con gli affari, ma con i sentimenti. Tutto il messaggio è permeato di sentimenti di fiducia, di riconoscenza, di gratitudine, di incoraggiamento, oserei dire di amicizia. Mattarella ha preso a riferimento soprattutto i giovani, ma non solo: ha avuto un pensiero per tutti.

Il tono famigliare usato dal Presidente mi induce a collocare il suo messaggio finale tra mio padre (vedi sopra) e mia madre, la quale aveva un cuore grande, fatto a cellette come un alveare: un posticino preciso e deciso per ognuno, senza interferenze, senza assurde graduatorie, con il massimo dell’attenzione possibile per tutti. Anche Mattarella in questi anni non ha dimenticato nessuno, a tutti ha riservato un posto d’onore al Quirinale. Ha rispettato tutti, forse anche chi non lo meritava; ha rappresentato tutti, forse anche chi non ne voleva sapere. La politica incarnata nelle Istituzioni al più alto livello umano e democratico.

A noi non resta che dire grazie, non con le parole che immediatamente si sono scatenate, ma con i fatti, cominciando col scegliere il suo successore nel massimo della continuità, senza pretendere surrettiziamente un Mattarella bis, ma cercando un Capo dello Stato che, per dirla con mio padre, abbia la capacità di volare alto, d’andär  pr’aria e di toccare i migliori sentimenti, ‘d fär gnir i zgrizór” e poi – mi sia concesso di proseguire nella digressione famigliare – assomigli a mia madre nel cuore grande, tale da poter contenere tutti gli italiani, che ne hanno tanto bisogno.