“Pavonismi” a confronto

Finisce l’avventura di “Articolo 1”, il partito fondato da Massimo D’Alema e altri fuoriusciti dal Pd in polemica con Matteo Renzi nel 2017. Gli auguri di fine anno che lo stesso D’Alema ha rivolto ai suoi non lasciano spazio a dubbi, soprattutto quando ha parlato della necessità di una ricomposizione. Tutti d’accordo, compresi Pierluigi Bersani, il ministro alla Salute Roberto Speranza e il coordinatore Arturo Scotto. A maggio dovrebbe diventare ufficiale il rientro nei ranghi del Pd. Nei suoi auguri D’Alema ha criticato Draghi (“L’idea che il premier si auto elegge capo dello Stato e nomina un altro funzionario del ministero del Tesoro al suo posto mi sembra una prospettiva non adeguata per l’Italia”) e non è mancato l’affondo contro Matteo Renzi, che all’epoca della scissione bersanian-dalemiana era segretario del Pd. D’Alema ha definito la fase renziana del Pd, una “deriva disastrosa, una malattia che fortunatamente è guarita da sola, ma c’era. Pochi oggi potrebbero negare la fondatezza del giudizio sul rischio che quel partito cambiasse completamente natura nell’epoca renziana” (notizie apparse su “Il quotidiano del sud”).

In poche righe sono sintetizzati i pregi e i difetti di questo personaggio politico di notevole livello. Mia sorella aveva un debole per le persone intelligenti. Diceva che, quando una persona è intelligente lo è sempre indipendentemente dal ruolo che è stata chiamata a ricoprire. Riteneva convintamente che quando una persona è intelligente è più che alla metà dell’opera, perché questa sua qualità, cascasse il mondo, non viene mai meno. Forse, mescolando qualità mentali ed etiche, preferiva avere a che fare con un cattivo intelligente piuttosto che con un buono stupido.

Indubbiamente Massimo D’Alema fa parte della categoria opzionata da mia sorella. A mio giudizio lo dimostra ad abundantiam quanto egli afferma sulle prospettive carrieristiche di Mario Draghi. Sono perfettamente d’accordo nel metodo che fa a pugni con la Costituzione e nel merito dal momento che mi permetto – a costo di attirarmi le antipatie di parecchia gente e di sembrare persino in contraddizione con me stesso – di giudicare Draghi inadeguato al ruolo di presidente della Repubblica. D’Alema ha colto nel segno e, a costo di andare contro corrente, ha sotterrato da par suo una prospettiva rischiosa ventilata sulle ali di un esagerato e scriteriato entusiasmo verso l’esperienza draghiana.

Purtroppo però c’è il rovescio della medaglia e sta nel sarcastico e unilaterale giudizio politico sulla fase renziana del Pd, definita “una deriva disastrosa e una malattia guarita da sola”.  Anche qui mi faccio aiutare da mia sorella Lucia e in un certo senso faccio riferimento al criterio sbrigativo suggerito dal grande giornalista Indro Montanelli per giudicare le persone: “guardategli la faccia…”. Si attaglia perfettamente a quella di Boris Johnson, il premier britannico. Mia sorella non ha fatto in tempo a visionare Matteo Renzi per filo e per segno, ma sono sicuro che, se fosse ancora in vita, non si rimangerebbe del tutto la prima impressione sputata a caldo: «Che facia da stuppid!». Siccome, se e quando uno è stupido, lo è sempre, Johnson si lascia sfuggire parecchie stupidate. Era grande ammiratrice di Indro Montanelli, non per le sue idee politiche, ma per il suo approccio ai fatti e soprattutto alle persone. Quindi, quando apparve in prima battuta sulla scena fiorentina Matteo Renzi con tutto il suo profluvio di ambiziose e bellicose mire, andò a prestito dal suddetto criterio montanelliano. E infatti mia sorella d’acchito sentenziò riguardo a Renzi: «Che facia da stuppid!». Non ebbe purtroppo tempo di vederne la scalata ai massimi livelli del partito e del governo e quindi non sono in grado di sapere cosa ne avrebbe pensato in seguito e cosa ne penserebbe oggi.

Se a mia sorella posso perdonare lo sbrigativo, anche se abbastanza profetico, giudizio a caldo, il giudizio a freddo di D’Alema è dettato più da rancore personale che da obiettiva analisi dei fatti. Se a Renzi può essere imputato un tentativo lancia in resta per una barricadera e superficiale ventata di svecchiamento della politica, sinistra in primis, a D’Alema mi sento di imputare un testardo e conservatore tentativo di ancorare la sinistra ad un passato che non può e non deve tornare più. È proprio vero che due pavoni non possono andare d’accordo. Ha fatto malissimo Renzi a rottamare a suo tempo D’Alema e a non recuperarlo, non candidandolo cioè al ruolo di ministro degli esteri europeo (funzione che avrebbe svolto in modo egregio nell’interesse italiano, europeo e finanche renziano), fa malissimo D’Alema a sputare veleno contro il passato renziano (contro il presente si potrebbe anche essere abbastanza d’accordo).

Lasciamo Renzi alle sue fantasiose giravolte e prendiamo da Massimo D’Alema quel che la sua intelligenza ci riserva nonostante la sfrenata presunzione ed ambizione. Ho sempre avuto un debole per questo esponente politico pur riconoscendone i clamorosi difetti. Posso spararla grossa? Non lo vedrei male nei panni di presidente della Repubblica: sono sicuro che, liberatosi finalmente dalle mire protagonistiche, lo saprebbe fare molto bene. Sarebbe un presidente alla D’Alema con tutti i difetti suddetti. Forse che gli altri personaggi, che si aggirano prospetticamente sulla scena quirinalizia, non ne hanno? In fin dei conti mia sorella, che la sapeva molto lunga, non aveva tutti i torti. Quando una persona è intelligente rimane tale sempre. E non è poca cosa.