Il teatrino degli smidollati

Mi ero ripromesso di starmene zitto durante il rito parlamentare dell’elezione del Presidente della Repubblica, ma non posso assistere con indifferenza all’agonia della politica. Non mi scandalizzo del balletto delle votazioni andate a vuoto, non mi sorprendo dei forti contrasti tra le coalizioni e all’interno delle stesse e nemmeno della conflittualità interna ai singoli partiti: era prevedibile e scontato che l’appuntamento politico più importante mettesse allo scoperto tutte le differenti visioni e visuali.

La democrazia non deve avere timore delle contrapposizioni e delle discussioni. Visto che è spuntata l’analogia con il conclave per la nomina del papa voglio rifarmi al pensiero paterno. Mio padre non sopportava la faziosità in generale, detestava la mancanza di obiettività e nelle sue frequentazioni terra terra, nonché nel far politica a livello di base, lanciava missili fatti di buon senso più che di analisi politica. Durante il lungo conclave per l’elezione del papa che sfociò nell’elezione di Roncalli quale Giovanni XXIII, in caffè dal televisore si poteva assistere al susseguirsi di fumate nere e qualche furbetto non trovò di meglio che chiedere provocatoriamente a mio padre, di cui era noto il legame, parentale e non, con il mondo clericale (un cognato sacerdote, una cognata suora, amici e conoscenti preti etc…): “Ti ch’a te t’ intend s’ in gh’la cävon miga a mèttros d’acordi cme vala a fnir “.  Ci sarebbe stato da rispondere con un trattato di diritto canonico, ma mio padre molto astutamente preferi’ rispondere alla sua maniera: “I fan cme in Russia, igh dan la scheda dal sì e basta! “. Questo per dire che è sempre meglio una bagarre democratica di un’ordinata elezione di regime.

Qual è allora il punto dolente, il nervo scoperto della situazione attuale: la totale e generale incapacità della politica a svolgere il proprio ruolo. Sergio Mattarella, dopo averla rispettata fin troppo, la mise da parte provvisoriamente con l’operazione Draghi, sperando che la notte draghiana le portasse consiglio. Sono convinto che dietro il gran rifiuto di Mattarella non ci sia alcuna opportunistica “viltà”, ma il desiderio impellente di restituire alla politica ed ai partiti il proprio imprescindibile ruolo anche in vista delle elezioni politiche del 2023.   Ho troppo stima del presidente uscente per pensare che abbia ignorato la penosa situazione dei partiti: penso abbia messo sul piatto della bilancia il rischio di proseguire e istituzionalizzare una supplenza rispetto al pericolo di incancrenire l’incapacità della politica ad affrontare la situazione sempre più difficile. Il gesto di Mattarella è stato un estremo atto di fede nella democrazia e nella politica.

Senonché alla prova dei fatti i partiti si sono dimostrati incapaci non dico di nuotare, ma persino di galleggiare usando le ciambelle di salvataggio messe a disposizione nell’ultimo periodo di “vacanza”. Lo stesso Parlamento alla sesta votazione (nonostante 445 astensioni e 106 schede bianche) ha certificato questa incapacità, assegnando 336 voti a Mattarella nonostante la sua conclamata ritrosia: oltre i cittadini anche i loro rappresentanti guardano a Mattarella come punto di rifermento irrinunciabile, reagendo con uno scatto di dignità alle assurde direttive dei leader (?) di partito, che stanno giocherellando in modo vergognoso.

Forse Mattarella ha ritenuto che fosse comunque giunto il momento di buttare in acqua la politica per verificare se riusciva a stare a galla, anche perché prima o poi questo pur pericoloso riscontro andava comunque fatto. Disastro!

E adesso? Salvo un ritorno (personalmente ne sarei entusiasta) di Sergio Mattarella, sollecitato da una larga maggioranza parlamentare, non solo rischia di uscire un nuovo presidente della Repubblica frutto del caso, ma di andare a catafascio il delicato equilibrio governativo creatosi attorno a Mario Draghi. Troppo tardi per un ritorno in sella di Mattarella (anche se, come detto, non è mai troppo tardi), troppo tardi per un accordo di fine legislatura fra i partiti (sempre più rissosi), troppo tardi riprendere un corso onorevole della vita politica ed istituzionale (c’è rimasto Draghi con il suo prestigio).

La vicenda dell’elezione del capo dello Stato è sempre stata un delicato passaggio nella vita democratica del Paese. La differenza è che un tempo esistevano i partiti, i leader, gli accordi e le contrapposizioni strategiche e tattiche. Oggi si nota solo una gran confusione in cui la democrazia rischia di soccombere. La speranza è l’ultima a morire e forse la gente è più democratica e seria dei partiti che la rappresentano. Non so se i cittadini abbiano il Parlamento che meritano. In parte sì, se pensiamo alle distrazioni grilline e alle sirene leghiste: non è un caso che l’attuale situazione di stallo dipenda soprattutto dalla inconcludenza di queste forze politiche.

Poi però la gente ha capito Mattarella, stima Draghi, ma non può andare oltre: speriamo non si faccia catturare da illusioni populiste ed anti-parlamentari. Dopo la folle implementazione dei poteri regionali, dopo la sbrigativa sforbiciata alle Camere, si potrebbe profilare l’elezione diretta del capo dello Stato: scorciatoie alla disperata ricerca di una equivoca meta.  I cittadini avrebbero voluto a tutti i costi proseguire con l’equilibrio trovato nell’ultimo anno. I partiti hanno (giustamente?) paura di perdere il controllo della situazione, battono dei colpi, ma sono colpi a vuoto. C’è di che essere seriamente preoccupati. Speriamo in un rigurgito di responsabilità, ma temo il peggio. La storia insegna che all’ultimo minuto spesso c’è stato un colpo di reni. Il problema è che la politica è attualmente senza reni, proprio mentre la situazione è senza rete.