Non ho simpatia e fiducia per le regioni e i loro organi periferici: la pandemia ne ha messo ulteriormente in luce i gravi difetti e le inaccettabili differenze di comportamento tra di esse. Di qui a far mettere in riga le Asl (aziende sanitarie locali) dal mondo dello sport la distanza è lunga e oserei dire paradossale. Che le Asl stiano facendo un gran casino e abbiano tenuto atteggiamenti diversificati e confusi in ordine alla giocabilità delle partite di calcio è lapalissiano. Che le decisioni in questa materia siano indirettamente dettate dalle federazioni sportive, dalla Figc in particolare, è cosa ancor più inaccettabile e contraria ad ogni e qualsiasi criterio di rispetto delle Istituzioni.
Davanti alle proteste, le Asl sono andate dietro la lavagna prima di cominciare una partita dell’assurdo tra di esse e le federazioni sportive a suon di protocolli avallati dal Coni, dal Governo centrale e dalle Regioni: ne è venuto fuori vergognosamente un vero e proprio affare di Stato. Dopo mesi in cui si vedevano stadi affollati e tifosi ravvicinati, dopo mesi in cui il mondo del calcio faceva finta che il covid non esistesse, il ritorno pandemico ha costretto in fretta e furia, dopo una telefonata fra Draghi e i vertici della Federazione calcio, a ridurre a 5000 presenze la capienza degli stadi ed ha aperto un contenzioso sulle condizioni alle quali giocare o meno le partite di calcio.
Una percentuale di positivi nel gruppo squadra, raggiunta la quale far scattare automaticamente lo stop. Naturalmente stabilendo il momento in cui il dato andrebbe registrato. È la soluzione a cui sta pensando il Governo per arginare la discrezionalità delle ASL nel fermare o meno i club e conseguentemente le partite. Su questo e su altro i tecnici del ministero della Salute sono stati in costante contatto con il CTS e con i rappresentanti delle leghe e delle federazioni sportive, non solo calcistiche, in vista della conferenza Stato-Regioni, da cui dovrebbero uscire una volta per tutte il protocollo, anzi i protocolli dei vari sport, e i parametri in base ai quali fermare o meno i club con rischio di focolaio Covid.
Non entro nel merito, ma rimango letteralmente basito di fronte ad un tale attivismo governativo per un aspetto, non certamente il più importante della lotta(?) al covid. Se i nostri governanti avessero tenuto simili atteggiamenti ed una tale prontezza su tutta la problematica, forse le cose andrebbero meglio, invece… vuolsi così colà dove il calcio puote ciò che vuole.
Forse il governo non si sta rendendo conto del vulnus istituzionale che sta arrecando (uno più uno meno…): le regioni e le Asl messe con le spalle al muro su richiesta esplicita del mondo sportivo. Lo sport detta le regole sanitarie alle Asl: d’ora in poi ci possiamo aspettare di avere l’assistenza sanitaria previo nulla osta di Gravina e c.
La metafora calcistica è obbligatoria: abbiamo due squadre in campo, quella delle Asl e quella delle Federazioni calcistiche, con tanto di arbitraggio governativo (diversi ministri a fare da arbitro principale, segnalinee e quarto uomo), al Var le Regioni che dovranno moviolare i provvedimenti adottati dopo di che entrerà in ballo la conferenza Stato-Regioni. Alla fine la partita ha un vincitore incontrastabile: l’interesse economico dei pallonari. Due a zero a tavolino e non se ne parli mai più, nessuno osi mettere in discussione la continuità del calcio e delle sue strutture.