“Chiudere la stalla dopo che sono scappati i buoi” è un’espressione piuttosto comune e dal significato intuitivo: prendere provvedimenti quando ormai il danno è stato fatto; preoccuparsi di qualcosa quando ormai non c’è più niente da fare.
Le Regioni corrono ad ampliare il numero di posti letto negli ospedali al fine di evitare il declassamento a «zona gialla» o «arancione» in materia di covid. Ma c’è chi fa due conti sul personale a disposizione. «Perché il letto di rianimazione o sub intensiva – ragiona Carlo Palermo, segretario del sindacato Anaao Assomed, che rappresenta i medici del servizio sanitario nazionale operativi perlopiù in ospedale – lo devi poter gestire».
Se quindi i padreterni governatori regionali (dei miei stivali), ammesso e non concesso che riescano in fretta e furia ad aumentare i posti letto per rientrare nei parametri in modo da non far scattare l’obbligo di restrizioni, si voltassero indietro, si accorgerebbero che l’esercito dei sanitari per far funzionare le strutture aggiuntive non c’è: all’appello mancherebbero 48mila medici e infermieri.
Già muoversi ora per allargare la “stalla” senza pensare che mancano i vaccari, dopo che da due anni si sono viste le disastrose carenze del sistema sanitario, con molti “buoi” morti forse più per le insufficienze strutturali ed organizzative che per la violenza del virus, è una colossale presa in giro. Se a ciò aggiungiamo il vergognoso gioco allo scaricabarile delle responsabilità fra regioni e ministero e la miopia del non vedere che i reparti ospedalieri camminano sulle gambe di medici e infermieri, rasentiamo la barzelletta tanto cara a mia nonna. Due ingegneri al termine dei lavori della costruzione di una porcilaia si scambiavano complimenti per la riuscita dell’impresa. Ad un certo punto qualcuno si accorse che mancava l’uscio e sciorinò una storica e paradigmatica battuta: “Méstor mi e méstor vu e la zana d’indò vala su?”.
A parte il poco delicato accostamento di medici e infermieri a vaccari e di cittadini ammalati a buoi e suini, di cui sinceramente mi scuso, il significato della suddetta paradossale storiella mi sembra molto chiaro. I nostri governanti centrali e periferici si danno un’importanza inversamente proporzionale alla loro capacità di programmare e gestire la cosa pubblica. Se ci angoscia la probabilità di ammalarci di covid, non ci consolano affatto gli ospedali insufficienti a prestarci le necessarie cure ed ancor meno ci rassicurano le sbruffonate dei governatori “ghe pensi mi”.
Il dato “politico” fondamentale emergente dalla pandemia è proprio la drammatica carenza del sistema sanitario, tarato sulla normalità, sul tran tran delle malattie. Addirittura, per rendere più accettabile l’accoglienza ai malati covid, siamo arrivati a buttare gli altri malati sotto il tappeto. L’imperativo da due anni è quello di non ammalarsi di altre malattie, perché tutto ormai ruota attorno al covid. Sarebbe interessante verificare quanta gente sia morta o abbia sofferto l’aggravamento per le proprie malattie extra covid. Una sorta di tragica guerra fra malati: mors tua vita mea. Roba da matti!
Quando capiremo che le emergenze sanitarie, sociali ed economiche stanno diventando o, meglio, sono già diventate normali e imprescindibili, sarà troppo tardi. Almeno questi due ultimi anni avrebbero dovuto costringerci in tal senso, invece ci siamo illusi che l’etica potesse essere appaltata agli eroi, che la scienza potesse governare il Paese a furor di vaccino e che fosse sufficiente munire di bacchetta magica un pur bravo e solerte generale dell’esercito.
Speravo che Mario Draghi sapesse entrare nella logica del buongoverno. Mi aspettavo, in assoluta priorità, un immediato, urgente e concreto intervento di potenziamento della sanità dal punto di vista strutturale e funzionale in accordo con le regioni messe allo stretto nelle loro smanie autonomistiche, senza alcuna prudenza finanziaria: meglio andare in profondo rosso nei conti pubblici che in profondo nero nelle morti dei cittadini.
I suoi recentissimi appelli a farsi vaccinare danno la controproducente idea di un “andate a farvi benedire” scientificamente camuffato. Anche l’insistenza con cui il presidente della Repubblica enfatizza il ruolo della scienza non toglie le castagne dal fuoco a chi ci sta governando molto male, imbottendoci la testa di balle che stanno in poco posto.
Mi fa sinceramente pena chi pretende di consolarci nascondendosi dietro il dito delle cifre pandemiche italiane meno gravi rispetto al resto del mondo. Mi ricordano il calzante aneddoto che tutti conoscono: il baritono venne accolto da urla e fischi e, rivolgendosi al pubblico lo pregò ironicamente di pazientare ed attendere l’esibizione del tenore. «Fischiate me? Sentirete il tenore!». Chi siano il tenore ed il baritono non saprei: ognuno è libero di adattare la scena a suo piacimento. D’altra parte la devastante ulteriore ondata con l’inesorabile progressione di contagi e morti verrebbe affrontata con sarcasmo da mio padre: “Stiv miga preocupär l’é tutta questión ‘d pasensia”.
Purtroppo non ci resta che la “sperànsa di mäl vestì ch a faga un bón invèron”. E pensare che il governo, ironia della sorte, ha il ministro della salute che si chiama “Speranza”. “Fin ch a gh é i governatór regionäl a gh é sperànsa”. E allora, sapete cosa vi dico? “Son adrè pèrdor la sperànsa”. A meno che non riuscissimo a trovare in fretta e furia un santo protettore contro il covid (san Draghi non sta rispondendo alle aspettative…). Da pessimo uomo di fede qual sono, credo che anche questa strada, pur religiosamente seria ed opportuna, non ci toglierebbe comunque dalle nostre manchevolezze.