«I gh’ la fan» diceva mio padre fra sé, seduto davanti al video, ma in seconda fila, come era solito fare, per dare libero sfogo ai suoi commenti al vetriolo senza disturbare eccessivamente. Stavano trasmettendo notizie sulle battaglie sindacali a tappeto. Mi voltai incuriosito, anche perché, forse volutamente, la battuta, al primo sentire piuttosto ermetica, si prestava a contrastanti interpretazioni. «Co’ vot dir? A fär co’?» chiesi, deciso ad approfondire un discorso così provocatorio e intrigante. «A ruvinär l’Italia!» rispose papà in chiave liberatoria, sputando il rospo. Badate bene, mio padre era un antifascista convinto, di mentalità aperta e progressista, un tantino anarchico individualista: tuttavia amava ragionare con la propria testa e si accorgeva, fin dagli anni settanta, che la strategia sindacale stava esagerando e rischiava di compromettere, in nome del “tutto e subito”, un processo di montante benessere da accompagnare con equilibrio e saggezza.
Questo episodietto, peraltro già ricordato e riportato, è tornato prepotentemente d’attualità. Cgil e Uil (la Cisl si è sfilata) hanno infatti proclamato per il prossimo 16 dicembre uno sciopero contro Draghi e le scelte del suo governo su pensioni fisco e lavoro. Se devo essere sincero, non ho capito quale sia la linea governativa sui grandi temi, che stanno a cuore al sindacato dei lavoratori, ma che dovrebbero interessare tutto il Paese. È vero che l’attuale governo è nato a causa dell’emergenza covid e della incapacità della classe politica ad affrontare anche e soprattutto il discorso dell’utilizzo dei finanziamenti Ue: ma non ci si può limitare a dipanare queste due matasse aggrovigliate e prioritarie, in quanto non esaustive, anche perché legate a tutto il contesto socio-economico in cui viviamo.
Posso capire pertanto l’insoddisfazione dei sindacati chiamati a sopportare grossi sacrifici senza vederne la fine e il fine. Faccio un lungo passo indietro che mi consente di evidenziare come siamo molto lontani dalla “concertazione” (termine mutuato dalla musica), vale a dire da una pratica di governo che tende a operare scelte economiche attraverso una consultazione preventiva delle parti sociali, principalmente sindacati ma anche associazioni di categoria o appartenenti al terzo settore.
È una pratica adottata alla fine del ventesimo secolo ed utilizzata per superare il famigerato binomio conflittuale tra sindacati e governo; infatti l’obiettivo della concertazione è la pace sociale. Tuttavia, questo sistema è entrato in crisi a causa delle politiche neoliberiste adottate dai governi di centro-destra e di centro-sinistra. In particolare la concertazione trova ampia applicazione in materia di mercato del lavoro, salari e contrattazione collettiva, organizzazione della previdenza sociale. Al metodo concertativo si è frequentemente fatto ricorso anche in relazione alle grandi scelte pubbliche sulla politica fiscale e della finanza pubblica, più in genere, sulla politica economica.
Si differenziava dal “corporativismo” perché non si proponeva di alterare il sistema economico-sociale e neppure di affermare un’indistinta ed assoluta cooperazione fra le parti sociali, ma di realizzare un sistema di consultazione e comune decisione sulle regole e le principali scelte della politica economica, all’interno di un sistema democratico e basato su un’economia di mercato.
Il modello della concertazione s’è affermato in Italia negli anni novanta, contribuendo in maniera significativa al risanamento dell’economia nazionale. La cosiddetta politica dei redditi che ne derivò permise di abbattere il tasso di inflazione e, indirettamente, i tassi d’interesse. Del modello concertativo sono stati grandi sostenitori Carlo Azeglio Ciampi e Romano Prodi e, tra i giuslavoristi, Gino Giugni.
Il sistema della Concertazione, che già mostrava numerosi limiti, è entrato in crisi col deteriorarsi dei rapporti fra governo (esecutivo Berlusconi) e parte del sindacato (la Cgil) e non ha ripreso pienamente quota neanche nel 2006 col successivo governo Prodi. In particolare già nel 2001, con il Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia, il Governo auspicava un superamento del metodo concertativo a vantaggio del cosiddetto “dialogo sociale”.
Attualmente non abbiamo la concertazione e nemmeno siamo in presenza di un costruttivo “dialogo sociale”, ma di una fredda e frettolosa consultazione del governo con le parti sociali. Il governo Draghi, al di là dell’autorevolezza del suo premier, non è in grado di offrire quel respiro politico-programmatico necessario per garantire un clima di riforme entro cui collocare una gradualità di sacrifici, di rinunce e di conquiste. Se da un lato i partiti sono “fuori come un balcone”, dall’altro lato il governo è troppo “dentro la stanza dei bottoni”. Se la politica vuole chiedere sacrifici, deve essere stabile, credibile, costruttiva e dialogante. Evidentemente non è il caso del governo Draghi e, ancor meno, della sua larga e brancaleonica maggioranza.
Se concedo ai sindacati il diritto di avere dubbi, perplessità critiche, contrarietà, non posso tuttavia tacere il loro dovere di adottare metodi d’azione consoni ad una situazione di gravissima emergenza: non mi pare che lo sciopero, in questa fase, si adatti ad una strategia seria e responsabile. Non so se sia nato prima l’uovo della credibilità politica o la gallina del senso di responsabilità sindacale: non vale la pena incartarsi in questo giochetto tattico. Ognuno assuma le proprie responsabilità. Certo che indire uno sciopero in questo clima è veramente assurdo e controproducente da tutti i punti di vista.
Ho sempre usato la metafora famigliare per rendere l’idea dei sacrifici da sopportare: deve essere un carismatico e credibile capo-famiglia a proporli e non l’inquilino della porta accanto, per bravo, onesto e competente che sia. Ho certamente esagerato nelle critiche alle parti in causa, ma penso e spero di avere reso l’idea. Se il sindacato fa la voce grossa e sfoga con lo sciopero la sua scarsa capacità di presa sui lavoratori, Draghi nasconde dietro la sua prestanza tecnico-professionale un sostanziale “svaccamento sindacale e partitico”.