Lisciare il pelo non toglie i vizi

Covid, Mattarella: “Troppo risalto mediatico ai No Vax”: così il titolo de La Stampa che introduce una breve sintesi del messaggio augurale natalizio del presidente della Repubblica alle autorità istituzionali convenute per la rituale cerimonia al Quirinale. Riporto integralmente di seguito la suddetta sintesi.

“La prima difesa dal virus è stata la fiducia della stragrande maggioranza degli italiani nella scienza, nella medicina. Vi si è affiancata quella nelle istituzioni, con la sostanziale, ordinata adesione a quanto indicato nelle varie fasi dell’emergenza dai responsabili, ai diversi livelli. Le poche eccezioni – alle quali è stato forse dato uno sproporzionato risalto mediatico – non scalfiscono in alcun modo l’esemplare condotta della quasi totalità degli italiani”. lo ha detto il presidente Sergio Mattarella in un passaggio del suo discorso alle Alte cariche dello Stato.   “Credo che si possa riconoscere – ha aggiunto il Cap dello Stato- come in Italia si sia affermata una sostanziale unità. Unità di intenti di fronte alla pandemia. E unità di sforzi per gettare le basi di un nuovo inizio. Il tempo dei costruttori si è realizzato in questa consapevolezza”.

Se si vuole una chiara dimostrazione delle subdole forzature mediatiche sistematicamente perpetrate sui fatti e sulle parole emergenti dall’attualità, la troviamo senza alcun dubbio: un inciso, peraltro introdotto con un dubitativo “forse”, diventa l’asse portante di tutto un ragionamento assai più serio e complesso. Ma non intendo fermarmi alle strumentalizzazioni ed alle stucchevoli performance giornalistiche, di cui sono stanchissimo, al limite dell’umana sopportazione.

Se devo essere sincero tutto l’approccio presidenziale all’analisi anti-covid non mi convince fino in fondo: troppo trionfalismo nazionalistico, troppa enfasi concessa al ruolo della scienza e della medicina, troppa retorica verso il comportamento degli italiani, troppa sdolcinatura natalizia su un problema gravissimo, sconvolgente e drammaticamente aperto in tutti i sensi.

Capisco l’ansia mattarelliana nel voler lanciare messaggi di fiducia e nel lasciare un ricordo positivo del suo ammirevole settennato, ma attenzione a non stonare nel canto del cigno, a non steccare l’acuto finale dopo una meravigliosa romanza pluriennale. Visto che sono scivolato sul discorso vocale non posso esimermi dal ricordare al riguardo un episodio implacabile, facendo una caustica digressione.

Mi sovviene quanto raccontava mio padre relativamente al periodo della seconda guerra mondiale, dopo l’occupazione tedesca del nostro territorio. Per tenere occupata la gente e distoglierla dalla resistenza al nazifascismo, facevano lavorare gli uomini “al canäl”, vale a dire nel greto del torrente per fingere opere utili che alla fine venivano regolarmente eliminate con le ruspe. Di qui il detto “va’ al canäl” utilizzato per mandare qualcuno a quel paese in cui si fanno appunto cose inutili ed assurde. In quel triste periodo ritornò a cantare al teatro Regio il grande tenore Francesco Merli, che aveva mietuto allori negli anni precedenti a Parma e nel resto del mondo. Al riguardo è memorabile una sua esibizione in concerto assieme a Renata Tebaldi, accompagnati al pianoforte, al ridotto del Regio: alla fine l’entusiasmo raggiunse l’isteria e voglio credere a mio padre che rammentava come una parte del pubblico fosse in piedi sopra le poltroncine ad applaudire freneticamente dopo l’esecuzione del duetto finale di Andrea Chenier. Quando ritornò alla ribalta del Regio, però, Francesco Merli, piuttosto anziano, non era più in grande forma vocale e non venne trattato con i guanti. In modo pesante ed inaccettabile, dettato più da cattiveria che da inesorabile atteggiamento critico, il loggione nei confronti del grande tenore Francesco Merli, reo di essersi presentato sul palcoscenico del Regio, nei panni di Manrico nel Trovatore di Verdi, con voce ormai piuttosto traballante, usò la suddetta pesantissima espressione: “va’ al canäl”.

Mio padre si rifaceva a questo disgustoso episodio per bollare l’esagerata ed esibizionistica verve loggionista, ma anche per significare come qualsiasi persona, quando si accorge di non essere più in grado di svolgere al meglio il proprio compito, sarebbe opportuno che si ritirasse, prima che qualcuno glielo faccia capire in malo modo.

Non vorrei che Sergio Mattarella avesse messo le mani avanti, facendo la tara alle richieste di bis piovutegli addosso alla Scala di Milano e immaginando eventuali e successivi rischi di contestazioni clamorose: la gente infatti fa molto presto a cambiare clamorosamente opinione.

C’è infatti un inevitabile logorio e in Mattarella se ne intravede qualche segnale anche e non solo nell’acritico appiattimento sulle lisciature di pelo agli italiani: il suo pur comprensibile atteggiamento in ordine al discorso covid mi sembra piuttosto semplicistico e schematico. Non è tutto oro quel che luccica!