“Nessun capo politico è mai stato presidente della Repubblica”. Così ha affermato frettolosamente e, oserei dire con un pizzico di professorale ignoranza, il segretario democratico Enrico Letta. E Giuseppe Saragat cos’era? Era stato il leader socialdemocratico, protagonista della scissione di palazzo Barberini, votato a fatica dai comunisti che non hanno mai apprezzato il suo anticomunismo e che avrebbero preferito di gran lunga votare un cattolico. Personaggio politicamente molto targato, anche se poi “presidenzialmente” molto garbato, equilibrato e imparziale.
E Romano Prodi non è forse andato vicinissimo al traguardo? Era il leader del centro-sinistra e fu bocciato dai franchi tiratori di casa sua, ma non per colpa della sua leadership, ma per colpa delle manovre sotterranee purtroppo sempre presenti all’appuntamento con l’elezione del presidente della Repubblica.
E Aldo Moro, se non fosse stato assassinato dalle Brigate Rosse, forse con la complicità di qualcun altro, non sarebbe stato eletto presidente della Repubblica? Lo ammise candidamente lo stesso Sandro Pertini nel discorso di insediamento di fronte al Parlamento. Aldo Moro era il prototipo del leader politico, non divisivo, ma comunque assai ben targato ed apprezzato per la sua capacità politica a livello strategico.
Consiglierei quindi ad Enrico Letta un rapido ripasso della storia repubblicana prima di avventurarsi in teorizzazioni che lasciano il tempo che trovano. Non è infatti l’abito che deve fare il monaco del Quirinale, ma la sua caratura culturale, morale, istituzionale e politica. Della politica non dobbiamo avere paura, semmai dobbiamo temere i pastrocchi dell’antipolitica e quelli dell’annacquamento politico dei finti unanimismi.
D’altra parte Enrico Letta non mi sembra affatto all’altezza di svolgere il ruolo di king maker, di orientare cioè i parlamentari verso un preventivo accordo per la scelta del futuro Presidente. Non ha il carisma e l’autorevolezza per farlo: un colpo al cerchio meloniano, un colpo alla botte grillocontiana, un colpo a Draghi uno a non si capisce chi.
Quando in una trasmissione televisiva, se ben ricordo condotta da Enzo Biagi, venne intervistato Roberto Benigni in piena campagna elettorale, questi mise le mani avanti facendo professione di equidistanza tra i candidati premier: “Non faccio propaganda elettorale…dico solo che Berlusconi non mi piace”. Per fare un accordo politico non occorre rinunciare alla politica, anzi.
Ebbene anch’io mi sento molto fuori dalla mischia politica…anche se a destra non voterei nemmeno se la sinistra candidasse Adolf Hitler. Equidistante quindi non sono, ma Enrico Letta non mi piace. Mancava solo che si improvvisasse professore di storia.
Altra magata lettiana. Il segretario Pd ha detto: “Io lo dico più netto che posso: l’elezione di un presidente della Repubblica con 505 voti, modello Leone, sarebbe una grave ferita istituzionale al Paese. Chi si assume la responsabilità di portare avanti un simile progetto fa un grande danno”. Qui la storia è rispettata, ma solo formalmente. Si deduce infatti che il metodo, per Letta e il presidente del M5S col quale egli sta facendo prove di dialogo, sia quello orientato alla scelta di una personalità condivisa dalla più ampia maggioranza, Fdi compresa. Cosa si vuole mettere fuori dalla porta Leone, per farlo entrare dalla finestra? Il presidente Leone (pace all’anima sua tanto ingiustamente perseguitata in vita) fu a suo tempo eletto con il subdolo appoggio del Msi in soccorso ai partiti di centro, a cui venne meno una fetta di voti della sinistra democristiana (aleggiava fin da allora la candidatura di Aldo Moro, che rinunciò drasticamente per evitare nel modo più assoluto il pericolo di rompere il suo partito). So di dirla grossa, ma, tra i voti odierni meloniani e quelli missini di un tempo ormai lontano, non saprei quali scegliere. Motivo in più per togliere il pallino dalle mani di Letta che sta facendo un gran casino, seppure in punta di piedi. Ma fatelo tacere!