L’operazione politica draghiana, così come concepita ed avviata da Sergio Mattarella, non voleva e non poteva essere l’anticamera dell’ultimo “ismo” della nostra storia politica. Interrotto bruscamente il renzismo, fallito miseramente sul nascere il “grillismo” non si può infatti andare alla disperata ricerca di un ancoraggio “ismico”, tanto per attaccarsi ad un massimo sistema che dia un senso alla politica.
Un governo di emergenza, fatto in fretta e furia per rispondere alle emergenze, deve restare coi piedi ben piantati in terra e nessuno deve pretendere di farne un paradigmatico panegirico, un nuovo stile per programmare e gestire la cosa pubblica, una concretizzazione di una sorta di pensiero unico galleggiante sulle crisi identitarie di tutti.
Alle situazioni emergenziali che stanno diventando la normalità della situazione socio-politica si tende a rispondere normalizzando il governo di emergenza, facendolo diventare lo strumento per trasformare la democrazia in “emergocrazia” (il potere funzionale alle emergenze e le emergenze funzionali al potere).
È quanto sta, almeno in parte e all’insaputa (?) dell’interessato, avvenendo sulla scia di Mario Draghi: un tecnico e il suo “ismo” costruito su misura. In questo esercizio, poco filosofico e molto opportunistico, si stanno cimentando cani e porci: stanno fiutando l’aria che tira e vanno dietro alla corrente che sembra spingere le vele di Mario Draghi.
Hanno inventato la bacchetta magica draghiana e spargono a piene mani l’illusione che possa funzionare. Il coro è molto diffuso ed è vietato stonare. Ho più volte scritto di avere salutato con soddisfazione il governo Draghi, o meglio Draghi al governo: ero sincero, così come lo sono oggi, quando vedo i limiti e i rischi di una vera e propria teorizzazione.
Ecco perché, al di là delle caratteristiche inadeguate della persona rispetto al ruolo, non vedo con favore la salita al Quirinale di Mario Draghi con l’eventuale conseguenza di un premier fantoccio nelle sue mani. In altri tempi si sarebbe gridato allo scandalo, al golpe dietro l’angolo, allo stravolgimento della Costituzione. Oggi va di moda far ruotare tutto e tutti intorno a Draghi e la suo futuro. Anche il più disincantato e distaccato uomo pubblico può essere indotto in tentazione dalle insistenti dichiarazioni amorose mediatiche e popolari.
Draghi resti a capo del governo fin che il Parlamento lo riterrà utile, poi si vedrà. Al Colle vada un personaggio che sappia interpretare adeguatamente l’attuale fase storica del Paese. Ognuno rientri nei ranghi e finiamola con l’affidarci ai padreterni. Draghi sta facendo un grosso servizio al Paese, ma non facciamone un presidentissimo alla Vladimir Putin (l’ho sparata grossa per rendere l’idea). In fin dei conti è il sostanziale argomento che porta Mattarella a rifiutare sdegnosamente il bis (forse non vuole diventare l’uomo del mattarellismo).
Peraltro, se non erro, la storia insegna che il miglior modo per giubilare un personaggio importante è quello di trasformarlo in un’idea. Se vogliamo rovinare Draghi e quanto sta faticosamente facendo, trasformiamolo nel draghismo. Nessuno sa di preciso cosa sia e dove stia. Ci puzza comunque di regime, non per colpa di Draghi, ma di chi lo sta usando per i propri comodi. E sono tanti, troppi per i miei gusti.