Il cervello nel cuore

Quando si avvicinavano le feste di Natale mio padre registrava quasi con fastidio, con un notevole senso di sorpresa, una ricorrente domanda che gli veniva formulata “Indò vät par Nadäl “. Questo succedeva nel periodo delle vacche grasse, perché, quando regnava sovrana la miseria, tali richieste sarebbero risuonate assurde per non dire offensive. E la risposta, pronta e spontanea anche se un po’ risentita e giustamente provocatoria, fulminava l’interlocutore: “Tutti, s’ j én lontàn, i fan di vèrs da gat  par gnir a ca’, e mi ch’a són a ca’ vót ch’a vaga via?” . Si trattava, a ben pensarci, di un libero rifacimento del classico “Natale con i tuoi”, ma un po’ più ragionato e motivato da una logica stringente e indiscutibile che inchiodava, col buon senso, chi proponeva l’evasione in una pur legittima uscita dagli schemi. Per mio padre non se ne poteva neanche parlare: Natale=famiglia e basta così.

Queste battute, che spesso in vista del Natale mi capita di rammentare e riecheggiare, mi servono per affrontare il tema delle restrizioni anti-covid per chi viene dall’estero magari anche proprio per trascorrere le feste natalizie con parenti ed amici. Che mi scandalizza non è tanto il fatto in se stesso, ma l’approccio al problema che ha creato persino un piccolo (?) corto circuito nei rapporti tra il premier Draghi e la Ue risolto nell’incontro tra gli Stati membri con un ridicolo e formale compromessone.

Il primo infatti ha sostenuto convintamente la necessità delle misure restrittive per proteggere il sistema sanitario tramite l’imposizione della quarantena a chi rientra nel Paese e non è vaccinato e il tampone a chi invece è immunizzato. La Ue ha fatto valere il diritto comunitario a pretendere dagli Stati membri un approccio coordinato e coerente quando si adottano misure nazionali. In conclusione il Consiglio Ue ha scritto in un documento: «Le restrizioni devono essere basate su criteri oggettivi, non devono danneggiare il funzionamento del mercato unico e non ostacolare in maniera sproporzionata la libertà di circolazione tra gli Stati membri o di viaggiare in Ue».

In buona sostanza all’Italia premeva difendersi dall’invasione dei barbari, alla Ue interessava difendere le regole del mercato. Due approcci diversi ma sostanzialmente simili in quanto dettati da mero egoismo. Ne è uscito, come detto sopra, un compromesso ipocrita e inconcludente: in parole povere, al limite del volgare, tutti potranno fare i cazzi loro purché corrispondano anche ai cazzi europei.

E per le motivazioni umane che stanno al di sotto dei viaggi nessuna considerazione: “Natale con i tuoi” è una esigenza retorica da subordinare a interessi superiori (?). Siamo proprio sicuri che sia questo l’approccio giusto per combattere il covid? Non è piuttosto già in partenza la resa incondizionata al virus che rischia di rovinare il nostro animo prima di condizionare la nostra vita e la nostra morte? Dubbi di un sentimentale ad oltranza, di un poeta visionario, che vuole combattere a mani nude e cuore aperto contro un tremendo virus che ci mette a soqquadro?

Sono più retorico io con le mie assurde pretese di difendere prima le anime dei corpi o i governanti che in nome della scienza ci vogliono togliere l’anima per difendere il corpo.  Cos’è la “retorica” se non dire con enfasi cose più o meno scontate. A quanto pare niente è più scontato dell’assoluta necessità di difendersi, costi quel che costi, da un pericolo imminente e immanente. Non sono d’accordo e proseguo con la mia retorica.

Rita Scherillo è una mamma. Sua figlia Martina non c’è più, è morta a soli 14 anni dopo essersi ammalata di Covid. Ai microfoni della trasmissione di Massimo Giletti “Non è l’Arena”, ha raccontato la sua triste vicenda. «La mia bambina se ne è andata da sola, non ho nemmeno potuto salutarla. Spero che sia morta in pace e senza soffrire» sono le parole toccanti della donna che in lacrime rivive nel programma su La7, il terribile lutto che l’ha colpita pochi giorni fa. La sua Martina si è spenta nel reparto di rianimazione dell’Ospedale Salesi di Ancona.

Ebbene, sulla toccante esperienza nessuno si è posto il problema se sia giusto in nome delle restrizioni difensive costringere una ragazza di 14 anni a morire sola come un cane e sua madre a intuirne in lontananza la tragica fine. Tutti hanno colto e sottolineato solo l’onesto e nobile appello di quella madre: «Fate vaccinare i vostri figli, la mia io non ce l’ho più».

Ho appreso con grande interesse il fatto che avremmo tre diverse reti neurali complesse, perfettamente funzionanti: una è il cervello nella testa, l’unico a cui la scienza ha fatto riferimento fino a poco fa, una è il cervello dell’intestino, trascurato spesso dalle scienze ufficiali, ma ben noto alla saggezza popolare, e il terzo cervello nel cuore.

Io tendo a privilegiare il terzo cervello, quello nel cuore e sono molto dispiaciuto che nei rapporti intercorrenti fra le persone ad ogni livello non se ne veda traccia così come, ed è ancor più grave, che nei comportamenti dei nostri attuali governanti non venga mai messo in gioco. Prevale la freddezza politica: per il recente summit europeo ho percepito una temperatura da freezer, il contrasto era solo su qualche grado in più o meno.

Più passa il tempo e più mi accorgo, ad esempio, come Mario Draghi non riesca a coniugare la sua pur ammirevole freddezza tecnico-professionale con il calore umano di un navigante responsabile dell’equipaggio e dei passeggeri. Forse pretendo troppo, ma forse proprio per questo motivo non lo vedo adatto a ricoprire la carica di presidente della Repubblica. Quello, per conservarci sani e salvi, ci mette tutti in freezer…