I ponti crollano, il presepe resiste

Temo di diventare sempre più un bastian contrario fine a se stesso, ma, siccome non me ne è mai fregato niente di quanto gli altri pensano di me, proseguo imperterrito nelle mie personalissime reazioni a quanto l’attualità mi sbatte in faccia: non porgo l’altra guancia, anzi percuoto la società in quello che non mi convince. Parto dal concetto di tradizione e riporto da vikipedia quanto segue.

Il termine tradizione (dal latino traditiònem deriv. da tràdere = consegnare, trasmettere) può assumere diverse accezioni, fortemente interrelate:

  • come sinonimo di consuetudine (spesso è utilizzata in tale senso la definizione “tradizioni popolari” o “folclore”), intendendo la trasmissione nel tempo, all’interno di un gruppo umano, della memoria di eventi sociali o storici, delle usanze, delle ritualità, della mitologia, delle credenze religiose, dei costumi, delle superstizioni e leggende; in particolare è detta tradizione orale la trasmissione non mediata dalla scrittura;
  • come corpus più o meno coerente di credenze e pratiche condivise da un gruppo di persone all’interno di un campo di attività umano, come può essere ad esempio una tradizione religiosa o una tradizione scientifica;
  • in ambito filosofico (con la iniziale maiuscola: Tradizione), come concetto metastorico e dinamico, indicante una forza ordinatrice in funzione di principi trascendenti, la quale agisce lungo le generazioni, attraverso istituzioni, leggi e ordinamenti che possono anche presentare una notevole diversità.

Se ieri ho difeso strenuamente la tradizione interpretativa in riferimento al Macbeth di Verdi, violata e sfregiata da una messa in scena scaligera a dir poco inguardabile, oggi mi trovo a difendere chi osa trasgredire la tradizione del presepe. C’è infatti modo e modo di rispettare e violare la tradizione. Il presepe non è una tradizione da rispettare, ma “una realtà” da accogliere in tutta la sua “portata rivoluzionaria”. Mi affascina cioè la provocazione intesa come motivata e profonda revisione critica della tradizione.

Così diceva il mio caro e indimenticabile amico don Luciano Scaccaglia: “Il presepe dove giungono poveri e ricchi, pastori e magi ci ricordi che è arrivata l’ora del cambiamento del modo di vivere e di convivere, perché la gioia, che è un diritto, raggiunga tutti. E nel presepe, se non siamo discriminanti o falsamente scrupolosi, c’è posto per tutti. Gesù nasce per chi ne ha bisogno, per chi sente di averne bisogno e anche per chi sente di non averne. Per i nomadi e gli erranti, per chi è fuori elenco e chi sta in fondo alle liste, per chi è guardato con sospetto se non con avversione… e per chi vive nei lager che raccolgono gli immigrati. Perché o Dio lo si testimonia come amico del dolente e del fuori casta, solidale con chi soffre esclusione e avversione pregiudiziale, o Dio lo si nega.

Se questo è il vero Natale, tutti hanno il diritto di celebrarlo e di esserci, nel presepe: il tossico e la prostituta, chi ha perso fiducia, chi è in carcere, chi prende continuamente porte in faccia o è sempre messo da parte, le coppie “regolari” o “canoniche” e quelle di fatto o irregolari, cui si continua a negare la tutela e il riconoscimento giuridico e pastorale. Nel presepe c’è pure l’omosessuale discriminato e l’eterosessuale che cerca faticosamente di imparare ad amare, magari sbagliando i percorsi, e c’è lo straniero che non trova né casa né lavoro. Nel presepe c’è l’agnostico, l’ateo, il diversamente credente pieno di valori umani, universali e laici. E noi, Gesù, ci siamo nel presepe? Ci basta un piccolo angolo!”.

Ha fatto un certo scalpore l’idea di collocare il ponte Morandi in un presepe a Firenze. In un albergo del capoluogo toscano, sono stati raffigurati i monconi del viadotto crollato il 14 agosto del 2018 provocando la morte di 43 persone. Il comitato “Ricordo delle vittime” ha reagito con un “siamo allibiti”. «Un presepe, che vuole essere “alternativo”, con tutto il rispetto per il lavoro da cui è scaturito, risulta stonato e siamo allibiti che non si potesse immaginare prima. Ogni tanto non guasta lasciare in vita qualcosa di tradizionale perché il presepe ha un valore positivo, una nascita, una gioia che non vediamo nel crollo di un ponte per incuria, si può dare spazio alla fantasia in molti altri contesti». Lo dice Egle Possetti, presidente del Comitato ricordo Vittime Ponte Morandi, commentando l’allestimento di un presepe con scenografia che ricorda il crollo del viadotto di Genova, tra quelli esposti in un hotel di Firenze.

«Noi possiamo immaginare, anche se con fatica, che le persone che non hanno vissuto la nostra esperienza terribile possano pensare che un presepe con i monconi del Ponte Morandi possa diventare commemorativo. Vi assicuriamo che per le famiglie che portano nel cuore quelle maledette immagini non emerge nulla di commemorativo», aggiunge Possetti.

«Per noi il ricordo passa attraverso il memoriale futuro, il lavoro degli inquirenti e della magistratura, attraverso la percezione che quelle morti possano risuonare nelle orecchie delle nostre istituzioni per spronarle a fare molto di più, per non permettere mai più’ una tale vergogna», conclude Possetti sottolineando «della nostra tragedia si parla ormai troppo poco, restano i lamenti di chi invoca giustizia e di fronte a noi appaiono i presepi».

Io, con tutto il rispetto per i morti e per i superstiti, mi permetto di essere allibito di fronte a questa sconclusionata e incomprensibile reazione negativa. Non voglio vedervi un banale rigurgito laicista e tanto meno solo un reiterato e manierato appello alla giustizia umana. Pur facendo un certo sconto ai gratuiti esibizionismi, penso che l’evento drammatico del crollo del ponte Morandi non potesse trovare collocazione migliore e che la provocazione presepiale sia la migliore risposta a quanto affermato dalla presidente del Comitato. Il presepe non celebra una gioia da difendere scrupolosamente e non esorcizza la sofferenza esistente nel mondo, ma rappresenta un evento salvifico che accoglie tutto e tutti, soprattutto le vittime dell’ingiustizia umana, non per assolverla ma per combatterla.

Mi dispiace doverlo ammettere, ma, se dà fastidio collocare le vittime del crollo del ponte Morandi nel presepio, non si è capito niente del Natale e ci si accontenta magari delle pur sacrosante, ma rituali, promesse istituzionali. Certo, nel presepe ci sono anche gli inquirenti, i magistrati, i tecnici, gli imprenditori, i politici, tutti coloro che nel male del passato e nel bene del futuro devono raccogliere il testimone proveniente dal crollo del ponte. Ma proprio per questo i monconi del viadotto devono rimanere impressi nella memoria, fissati in una sorta di fermo immagine ben sistemato nei pressi della povera culla di Betlemme.