Draghi non val bene un presidenzialismo

Pur mettendo in campo tutte le ironiche precauzioni del caso, Mario Draghi ha lasciato trapelare un percorso istituzionale adatto alla sua salita al Colle. Si fa un gran parlare giornalistico sul governissimo bis supportato nella continuità dall’attuale larga maggioranza parlamentare che sposterebbe Draghi al Quirinale quale garante di un governo presieduto da un personaggio di sua fiducia. Per dirla in parole povere e brutali, Draghi farebbe il presidente della Repubblica a tempo parziale in quanto metterebbe un occhio anche al governo del Paese, che risponderebbe più a lui che al Parlamento ulteriormente imbalsamato in un ruolo di mera ratifica politica.

Se non è uno stravolgimento sostanziale della Costituzione, cos’è? Una sorta di costituzione materiale che va ben al di là di quella scritta. Un passaggio, morbido ma deciso, da parlamentarismo a presidenzialismo. Vorrei sapere come farà Draghi a dare seguito alla bella e paradigmatica definizione che ha dato del settennato di Sergio Mattarella: dolcezza coniugata con fermezza.

Un giornalista ha chiesto: “In futuro il Quirinale può svolgere un ruolo di ‘accompagnamento’ dell’azione esecutiva?” Draghi ha risposto: “No, il governo è un governo parlamentare, questo è quello che prevede la Costituzione. Il Presidente della Repubblica non è tanto un notaio quanto un garante. L’esempio del Presidente Mattarella è forse la migliore guida all’interpretazione del ruolo del Presidente della Repubblica: ha garantito l’unità nazionale, dalla quale è venuta una maggioranza ampia che ha sostenuto la forza di questo governo. Questo governo, sostenuto e protetto da una maggioranza ampia, ha cercato di fare il meglio possibile”, ha spiegato il premier.

Ora il discorso può filare se il presidente della Repubblica e quello del Consiglio sono due personaggi ben distinti e totalmente autonomi nella loro funzione istituzionale, ma se uno diventa anche il “burattinaio” del secondo o, se volete, il secondo diventa un “burattino” nelle mani del primo, la distinzione dei poteri, il parlamentarismo e la Costituzione vanno a farsi friggere.

Il “nonno” delle attuali istituzioni diventerebbe il “padre” di nuove istituzioni, il playmaker di una strisciante riforma costituzionale dettata da esigenze emergenziali e non dal confronto tra le forze politiche. Il tutto garantito dalla maggioranza di un Parlamento sfilacciato e sconclusionato, preoccupato più di rimanere in carica che di dare un assetto corretto e credibile alla vita democratica del Paese. Il protagonismo draghiano (di fatto) combinato col presidenzialismo (di fatto) porta ad una torta di equivoco sapore, anche se su di essa viene apposta un’abbondante spolverata di zucchero velo parlamentare.

Concedo a Mario Draghi l’assoluta buona fede, ma purtroppo a volte si può sbagliare di grosso anche in buona fede e con le migliori intenzioni. Legare la nomina del prossimo capo dello Stato all’attuale maggioranza che sostiene il governo è un errore clamoroso: anche se la maggioranza è larga, è cosa totalmente diversa da quella che si dovrebbe formare per eleggere il presidente della Repubblica. Sono due binari paralleli, non può esistere un binario unico seppure sicuro e ad alta velocità.

All’insulso e coreografico toto-Quirinale si sta sovrapponendo infatti il penoso e pedissequo toto-Chigi: per fortuna, come è quasi sempre successo, le carte verranno scombinate e il Parlamento, volenti o nolenti, dovrà assumersi le proprie responsabilità e procedere per gradi senza indulgere a pateracchi istituzionali.

Non mi sembra valida la motivazione che, in mancanza di spessore del personale politico e in carenza di lungimiranza ed autorevolezza partitica, sia meglio ripiegare su un personaggio a cui affidarsi totalmente: discorso molto pericoloso. In un certo senso fu così per l’elezione a presidente di Carlo Azeglio Ciampi: andò, tutto sommato, bene, ma ciò non significa che l’eccezione possa tranquillamente diventare una quasi-regola. Ci si concentri sulla ricerca di un presidente della Repubblica che dia il massimo delle garanzie sulle funzioni che ad esso assegna la Costituzione: per il momento può bastare. Non credo possa essere Mario Draghi. Poi si vedrà di riprendere il gioco politico a biglie ferme.