Politicamente e istituzionalmente parlando, viviamo sul filo del rasoio di un equilibrio fragile e precario basato su un governo tecnico di (quasi) unità nazionale, letteralmente e virtuosamente inventato dal Presidente della Repubblica a prescindere dai partiti, messi provvisoriamente un po’ dietro la lavagna, un po’ a sedere sui banchi di scuola.
Accantonare, seppure temporaneamente, la politica in senso stretto è in teoria un esercizio istituzionale abbastanza pericoloso, che potrebbe creare inopinati spazi di invadenza autoritaria seppure ammantata di tecnocrazia e burocrazia. In pratica il pericolo è scongiurato dal garante istituzionale per eccellenza, quel Sergio Mattarella capace di rimproverare la politica senza accantonarla, di valorizzare le professionalità e le competenze prepolitiche senza scavalcamenti di ruolo.
Detto in estrema sintesi, Mattarella dal Quirinale sta facendo da contrappeso al peso di Draghi a Palazzo Chigi. La democrazia si basa anche su questi meccanismi assai ben dosati dalla Costituzione e ben praticati dall’attuale Presidente della Repubblica. Durante il semestre bianco, periodo nel quale il Parlamento è tenuto a bagnomaria e il ricorso alle urne è sostanzialmente impedito, il ruolo di Mattarella si sta accentuando ulteriormente, al punto da renderlo indispensabile anche in prospettiva.
Se infatti emerge la necessità di mantenere saldamente in sella il governo Draghi fino alla scadenza naturale della legislatura, vale a dire fino alla primavera del 2023, se quindi il peso governativo è destinato ad aumentare nel tempo e nella possibilità di guidare il Paese, dovrebbe parallelamente rafforzarsi il contrappeso quirinalizio: è presto per tagliare il cordone ombelicale che lega palazzo Chigi ben più all’utero quirinalizio che alla culla parlamentare.
Conclusione piuttosto lampante: l’ideale sarebbe che il binomio Mattarella-Draghi proseguisse senza fuoruscite e senza ribaltamenti. Il salto di Draghi al Quirinale farebbe pendere inevitabilmente la bilancia dalla parte della tecnocrazia fatta democrazia, con un governo tenuto a balia dal Presidentissimo, seppure presieduto da un nuovo personaggio a mezzo servizio. Diversamente Draghi dovrebbe chiudere la parentesi del governo tecnico, sciogliendo immediatamente le Camere per riaprire frettolosamente il discorso politico con tutte le incognite precedenti alla nascita della fase emergenziale, rivedute e scorrette.
Se alla presidenza della Repubblica dovesse andare un altro personaggio, capitato un po’ per caso, si verrebbe comunque a creare una discontinuità, che potrebbe portare ad un superpotere draghiano liberato dal necessario contrappeso mattarelliano, con il rischio di qualche cortocircuito istituzionale e di qualche equivoco politico.
La peggiore delle ipotesi sarebbe che addirittura entrambi i protagonisti di questa delicata fase della vita nazionale se ne andassero a casa, aprendo grosse incognite per il Paese improvvisamente orfano dei genitori adottivi e consegnato alle cure di incerti e impreparati parenti prossimi.
La lotteria delle candidature è cominciata all’insegna della irresponsabilità, basti pensare ai giochini berlusconiani, ai niet pentastellati, alle manovre leghiste e via discorrendo. Nella storia è sempre stato un po’ così anche se poi alla fine sono saltati fuori dei presidenti molto azzeccati. Questa volta però la situazione del Paese è molto più grave, la politica è molto più debole, i personaggi sulla scena sono qualitativamente e quantitativamente scarsi. Ecco perché buttare all’aria il castello mattarellian-draghiano è molto pericoloso e altamente sconsigliabile.