Forse mai come questa volta l’elezione del Presidente della Repubblica segna un passaggio delicato per la vita del Paese. Ecco perché i grandi elettori, parlamentari e delegati regionali, dovrebbero sforzarsi di uscire dai calcoli della politichetta per entrare nella più alta logica istituzionale. Si tratta di riandare al metodo dei padri della Costituzione, che riuscirono a stipulare un patto mediando al più alto livello passibile: questa, in fin dei conti, è la vera politica.
Purtroppo, anche se spero che al momento decisivo vi potrà essere questo rigurgito di vitalità costituzionale, assistiamo ad un dibattito preparatorio di basso profilo, caratterizzato da mere tattiche partitiche o da pure astrazioni giuridiche. Non ci siamo!
Detto in parole povere, la scelta del Presidente dovrebbe garantire la giusta combinazione fra passato, presente e futuro del Paese. Spesso l’operazione è riuscita, speriamo quindi che la ciambella del febbraio prossimo possa riuscire col buco.
Da una parte si sta profilando un approccio piuttosto schiacciato sul presente: il costituzionalista Francesco Clementi sostiene che serva un presidente all’altezza di Draghi, “un Capo dello Stato che non vada in contrasto con il premier voluto da Mattarella. Non si può eleggere un Presidente che non sia all’altezza di Mario Draghi e della maggioranza che lo sostiene. Un Capo dello Stato, cioè, che non vada in contrasto con il governo del presidente voluto da Sergio Mattarella per combattere la pandemia e il corretto utilizzo dei fondi europei del Pnrr”.
Capisco cosa si vuole dire, ma il nuovo Presidente dovrà essere all’altezza del dettato costituzionale e non tanto all’altezza di Mario Draghi, pur con tutto il rispetto e l’ammirazione che questo personaggio merita. Men che meno dovrà essere in linea con la precaria maggioranza politica che sostiene Draghi, ma col rispetto della dialettica che culmina nelle maggioranze che si formano in Parlamento.
Pur giudicando positivamente l’operazione di Mattarella per portare Draghi a palazzo Chigi, questa non può diventare uno schema prospettico. Sarei perfettamente d’accordo sull’ipotesi di “congelare” per un certo periodo di tempo Draghi e Mattarella nei rispettivi ruoli attualmente ricoperti: abbiamo, come dice Carlo De Benedetti, due fuoriclasse e quindi lasciamoli giocare a tutto campo. Il Parlamento potrebbe benissimo optare per questa soluzione che salverebbe capra e cavoli.
Invece da più parti si comincia ad ipotizzare con una certa strumentale insistenza l’ipotesi di un surrettizio semi-presidenzialismo: Draghi al colle ed un suo uomo a palazzo Chigi. Un obbrobrio costituzionale, una ruspante riforma da strapazzo. Non giochiamo ai bussolotti. Un equilibrio politico-istituzionale in mano ai partiti che lo potrebbero far saltare in qualsiasi momento.
Una variante all’ipotesi suddetta viene cucita addosso a Draghi, il quale dovrebbe, dopo essersi insediato al Quirinale, ricompensare i partiti che lo hanno eletto concedendo loro finalmente le tanto agognate elezioni politiche anticipate. Un Presidente ostaggio dei partiti.
Restiamo cioè schiacciati sul presente senza sforzo di visione futura nel rispetto della Costituzione, che vuole un Capo dello Stato con funzioni ben più alte e fondamentali per il Paese. Mattarella ne è stato un interprete pressoché perfetto. Forse allora è meglio guardare al passato prossimo ed anche a quello remoto, ma solo per porre le premesse del futuro.
Qualcuno invece preferisce salvarsi in corner e rifugiarsi acriticamente nel passato: Giuliano Amato sarebbe il candidato per il Quirinale che potrebbe mettere d’accordo (quasi) tutti. Il nome dell’ex premier, ora giudice costituzionale, viene considerato il più accreditato per superare i veti incrociati sulle altre candidature. “Mi chiamano sempre presidente!”, dice Giuliano Amato in un video apparso otto anni fa sul sito di Repubblica. “Ma io mi riferisco sempre al Tennis club di Orbetello”, aggiunge con divertita civetteria. É sempre candidato alle cariche importanti. All’epoca era in lizza per diventare premier (poi Giorgio Napolitano scelse Enrico Letta). Due anni dopo era in predicato di diventare Capo dello Stato (fu eletto Sergio Mattarella).
Il profilo culturale di Giuliano Amato è indiscutibilmente alto, oserei dire altissimo; però la sua esperienza politica è purtroppo legata, nel bene e nel male, alla stagione craxiana e ciò ne fa più un reperto della cosiddetta prima repubblica piuttosto che un ponte praticabile verso la seconda repubblica. Attenzione ai tuffi nel rassicurante (?) passato: possono servire, ma possono anche fuorviare.
Capisco che il piatto sia invitante e stimoli l’appetito parolaio, ma partiti, politologi, costituzionalisti, commentatori, giornalisti etc. etc. farebbero una grande cosa se la smettessero di blaterare e lasciassero che il Parlamento nella sua autonomia decidesse al momento giusto. È pur vero che non è un’assemblea asettica e sganciata dalla realtà, ma per favore non facciamone un “Pirlamento” alla mercé delle chiacchiere emergenti dal totopresidente.