La moglie-politica insignificante e l’amante-tecnica attraente

Mi è rimasta impressa nella mente un’affermazione piuttosto provocatoria in materia ragionieristica. Durante una conferenza l’esperto relatore sputò una strana definizione di bilancio: si tratta, disse lapidariamente, della sommatoria di opinioni. Ho potuto verificare in campo professionale l’acutezza e la veridicità di questa affermazione. Lungi da me aprire un discorso sulle valutazioni assai poco oggettive, che stanno a monte del bilancio di una impresa societaria.

Ho introdotto questo eccentrico criterio solo ed esclusivamente per dire che, se la somma di opinioni si deve fare per arrivare ad un bilancio fatto di attività e passività, di costi e ricavi, che per somma algebrica portano al risultato della gestione, a maggior ragione per valutare l’operato di un governo non si possono che mettere in campo delle opinioni, più o meno motivate, le quali però restano tali e quindi estremamente discutibili.

Volendo tracciare un primo bilancio, a nove mesi dalla nascita, del governo Draghi o meglio dell’operazione Draghi, bisogna infatti ricorrere alle opinioni, non tanto quelle degli opinionisti di professione, opportunisticamente appiattiti sull’incensazione ante litteram, ma quelle personali, frutto di riflessioni maturate sull’onda dell’esperienza politica diretta e indiretta.

Devo ammettere che sono stato un convinto sostenitore dell’entrata di Mario Draghi a Palazzo Chigi: sul bagnato della politica in fase di stallo e debolezza, su un governo assai poco convincente, il secondo governo Conte, pioveva un’autentica alluvione di drammatici problemi emergenziali. L’unica ancora di salvezza poteva essere quella di affidarsi ad un personaggio carismatico, esperto, professionale, competente, che potesse aiutarci ad uscire dal buio di una situazione al limite dell’impossibile. L’uomo giusto al posto giusto. Quando Mattarella decise in tal senso, tirai un bel respiro di sollievo e cominciai a sperare che da una parte il governo potesse funzionare in modo adeguato alla realtà e dall’altra parte la politica facesse un doveroso passo indietro per risintonizzarsi coi problemi.

Se mia madre, più o meno convintamene e seriamente, usava mettere in discussione le proprie scelte matrimoniali dicendo: “Sa tornìss indrè….”,  mio padre la stoppava immediatamente ribattendo:  “Mi rifarìss còll ch’ j ò fat, né pu né meno” .  E giù a ridere ironicamente delle ipotetiche fughe con l’amante, con i due che scappano e cominciano a litigare scendendo le scale: della serie la famiglia ed il matrimonio sono una cosa seria.

Non la voglio buttare sul ridere, ma la fuga degli amanti a cui si riferiva sarcasticamente mio padre ben si attaglia al mio (e forse non solo mio) rapporto con Draghi e il suo governissimo. È un po’ come scoprire di avere una moglie bruttina ed antipatica, sempre meno attraente, che non si cura, che non si trucca, che veste male, che è diventata sempre più impresentabile e indesiderabile. Facile capire che alludo alla politica. Il marito, il cittadino che crede nella politica, non ne può più e cerca una bella avventura, che ridia fiato e appeal ai suoi sentimenti in grave crisi, illudendosi poi di tornare a tempo debito dalla moglie, che nel frattempo dovrebbe cambiare look e stile. L’amante di turno, è inutile sottolinearlo, si chiama Mario Draghi.

Purtroppo, per tornare alla realtà e abbandonare la similitudine, l’operazione Draghi, strada facendo è diventata sempre più illusoria e provvisoria, anche se si spera possa addirittura proiettarsi nel tempo. C’è poco da fare la politica è la politica e Draghi, pur con tutte le sue migliori ed ammirevoli qualità, non è un politico e non può e non vuole nemmeno esserlo. Ce la sta mettendo tutta, a tutti i livelli e in tutti i sensi, va avanti (fin troppo) per la sua strada, non scende a miserevoli compromessi con le forze politiche e persino con quelle sociali, si avvale di tutta la credibilità che raccoglie nel mondo, ma, come dice un proverbio dialettale, “quand l’é sira, la mata la fila”, cioè quando si arriva al dunque la politica si ripresenta con le sue regole democratiche.

Allora da sessantottino innamorato della politica, mi accorgo che di essa, pur con tutti i limiti e i difetti che ha, non si può fare a meno. Il cordone ombelicale, il trait d’union erano fino ad ora costituiti e garantiti da Sergio Mattarella, ma il suo settennato sta per scadere e il collegamento rischia di andare in crisi, da difficile può farsi impossibile. I tecnici vanno benissimo a fare i tecnici, ma non sono in grado di fare i politici. Nella mia stupenda esperienza teatrale ho potuto vedere cantanti che volevano fare i registi, registi che volevano imporsi ai direttori d’orchestra, e via discorrendo: non poteva funzionare…Vale anche per i tecnici prestati alla politica e viceversa. È pur vero che tecnici del livello di Draghi hanno sicuramente sensibilità e conoscenza politiche, ma un conto è parlar di morte, un conto è morire.

Non sto abiurando alla mia fede draghiana, sto solo rivedendo criticamente, oserei dire impietosamente, un’operazione politica virtuosa, che sta dando indubbiamente anche risultati seri ed importanti, ma che deve essere ricollocata, ritarata, ripensata e magari anche prolungata, ma non per forza d’inerzia. Più passa il tempo e più vedo Draghi abbarbicato ai suoi due pilastri socio-sanitari, il generale Figliuolo e l’armata brancaleone dei virologi, ed al pilastro economico del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Intorno a questi pilastri occorrerà costruire la casa e francamente la vedo dura, anche perché, come già detto, il progettista se ne va in pensione.

Il problema è però che nel frattempo la moglie-politica non si è rinnovata e continua a presentarsi in tutto il suo squallore e nella sua scialba ma presuntuosa incapacità. E allora? Al momento bisogna continuare il flirt tecnico-professionale pur sapendo che non potrà durare all’infinito e senza pretenderne una eccessiva fecondità. Più pragmatico di così si muore.