Non c’è governo Draghi che tenga, la Rai resta purtroppo un penoso, costoso ed ingombrante carrozzone, contro cui si infrangono tutti i tentativi di cambiamento. Anche il nuovo amministratore delegato Carlo Fuortes, scelto come moralizzatore di un autentico casino, si sta adeguando. Il balletto delle nomine alla testa dell’informazione sta dimostrando che anche in Rai, cambiando l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia e la sua qualità resta inversamente proporzionale alla quantità di risorse sprecate.
Sembra che Fuortes abbia letteralmente perso la bussola, riuscendo a scontentare tutti, sostituendo la lottizzazione classica con un cocktail di nomine dal sapore equivoco, varando un organigramma in cui nessuno si riconosce, proponendo una girandola di direttori tale da perderci la testa.
Stando alle ricostruzioni, alle dietrologie e alle gufate giornalistiche (il sussidiario.net), “il dossier delle nomine dei nuovi direttori della Rai avrebbe fatto infuriare nello stesso momento Draghi e Conte. Carlo Fuortes può considerarsi soddisfatto, è riuscito dove nessuno dei suoi autorevoli predecessori si era mai spinto: mettersi contro in un sol colpo il presidente del Consiglio, nonché principale candidato alla presidenza della Repubblica, e il capo di quello che rimane il principale partito che siede in parlamento, per quanto malmesso nei sondaggi e dissanguato da continue scissioni. (…) Che Conte non sia così ostile al voto dopo l’elezione del capo dello Stato è abbastanza scontato. Che questo sia lo stesso interesse di Salvini e della Meloni è chiaro anche ad un bambino. Non si capisce perché Letta dovrebbe essere contrario, visto che vedrebbe, nel peggiore dei casi, raddoppiati i propri eletti. Insomma, anche gli irriducibili hanno capito che si aspetta solo l’incidente per far cadere il castello di carta. E questo della Rai ci assomiglia assai”.
Questa volta la pantomima si è tinta di rosa: ormai le donne fanno da alibi al sistema, non contribuiscono minimamente a cambiarlo in meglio. Prendo ad esempio quello che, a mio giudizio, è il punto più scandaloso nel campo dell’informazione Rai: il carrozzone nel carrozzone, l’esercito degli inutili giornalisti, cronisti, commentatori, chiacchieroni sportivi. Mi sarei aspettato un taglio netto a questo baraccone, invece sulla vomitevole torta ci si è limitati a mettere la ciliegina rosa, una direttrice donna che coprirà tutto e tutti.
E intorno alla torta si scandalizzano i partiti, il sindacato (Usigrai), i consiglieri di amministrazione, persino il governo fatica a capirci dentro qualcosa: una ignobile e generale finzione a copertura del continuato delitto di lesa opinione pubblica. A volte i provvedimenti che scontentano tutti sono i migliori, non credo sia questo il caso. Come si stava bene quando la Rai aveva una rete unica in cui si sapeva chi comandava…! Allargare il bottino non ha fatto altro che complicare la questione della sua spartizione. Un po’ di qualunquismo di ripiego è inevitabile.
Ritorno brevemente sul discorso sportivo, anche perché è l’unico punto d’attacco rimastomi: continua a piacermi lo sport nonostante tutto, nonostante la RAI sia protagonista di una vera e propria sbornia televisiva con le telecamere a scrutare ed a moviolare ad libitum, con i salotti televisivi prima, durante e dopo la partita. Un tempo di cronista c’era Nicolò Carosio e poco più, ben lontani dalle attuali schiere di giornalisti, commentatori tecnici, esperti, moviolisti, combinati in polpettoni stomachevoli che alla fine riescono a falsare l’avvenimento (altro che i quasi goal di Carosio).
Chiedo umilmente scusa se mi permetto di insistere, ma è l’occasione per pulirmi un po’ in bocca, per ridicolizzare quanto succede in TV durante un incontro di calcio: un gruppo di giornalisti ed esperti nello studio centrale, un duetto per il prepartita, un duetto per la cronaca, con altri due cronisti ad osservare le mosse urlanti degli allenatori, una equipe per commenti e interviste durante l’intervallo ed alla fine. A parte il costo di tali sovrastrutture, che qualcuno direttamente o indirettamente paga (canone, pubblicità, etc. etc.), non sono sicuro che il povero telespettatore al termine ricordi il risultato dell’incontro, stordito dalla sarabanda di parole, immagini (replay che si sovrappongono alla diretta), critiche, schemi di gioco, interviste, pareri etc. etc.
Mio padre, per evitare accuratamente le sbornie mediatiche in materia calcistica, pretendeva che il dopo partita durasse i pochi minuti utili per uscire dallo stadio, scambiare le ultime impressioni, sgranocchiare le noccioline, guadagnare la strada di casa e poi…. Poi basta. “Adésa n’in parlèmma pu fìnna a domenica ch’ vén”. Si chiudeva drasticamente e precipitosamente l’avventura calcistica in modo da non lasciare spazio a code pericolose ed alienanti, a rimasticature assurde e penose. L’unica eccezione era la lettura dell’opinione di Curti, pubblicata sul quotidiano locale del lunedì, un commento essenziale ed equilibrato che finiva, quasi sempre, con la solita sconsolata espressione “un’altra partita da dimenticare”. E mio padre chiosava: “Pri tifóz dal Pärma a gh vól la memoria curta”.
Speravo in Mario Draghi, contavo che potesse sfrondare, tagliare, moralizzare, che potesse riportare ad un minimo di decenza la gestione della Rai. “Un’altra occasione perduta, un’altra partita da dimenticare”. “Pri tifóz ‘d la politica séria a gh vól la memoria curta”.