I minimi sistemi renziani

Il leader di Italia viva Matteo Renzi, in una lettera a Repubblica, tenta di spiegare cosa sia successo al Senato sul Ddl Zan e perché abbiano, a suo giudizio vinto i populisti: “Il Pd ha deliberatamente scelto di rischiare. La legge è fallita per colpa di chi ha fatto male i conti e ha giocato una battaglia di consenso sulla pelle di ragazze e ragazzi che non si meritavano questa ferita”.

Riporto di seguito solo l’incipit della lettera: “Caro direttore, il triste epilogo del disegno di legge Zan divide per l’ennesima volta il campo dei progressisti in due. Da un lato i riformisti, che vogliono le leggi anche accettando i compromessi. Dall’altro i populisti, che piantano bandierine e inseguono gli influencer, senza preoccuparsi del risultato finale. I primi fanno politica, gli altri fanno propaganda”.

Che la sinistra abbia storicamente perso il pelo di molti consensi non perdendo mai il vizio di divedersi tra riformisti e massimalisti è un fatto innegabile. Non credo proprio che la vicenda della legge contro l’omotransfobia possa inquadrarsi in questa secca chiave interpretativa. Se è vero che fare politica da riformisti significa accettare i compromessi ai livelli più alti, è altrettanto vero che bisogna avere il coraggio di non transigere su certi principi e valori fondanti della democrazia.

La storia italiana del partito socialista è tutta lì a dimostrare come il riformismo sganciato da una strenua difesa di certi valori possa scadere nel finto progressismo fino ad arrivare all’affarismo spinto alle estreme conseguenze. Il craxismo, nato come rivolta contro quel che rimaneva del radicalismo comunista, ha finito col far scivolare il Paese in un progressismo tutto da bere (l’affarismo alla milanese), in una logica di compromesso fine a se stessa (coi comunisti in periferia, coi democristiani al centro, sempre e comunque con il miglio offerente opportunamente ricattato), nell’anticamera del berlusconismo (gettandone i presupposti mediatici e della politica ridotta ad arte dei propri interessi).

Il primo tratto di strada della nostra Repubblica è stato guidato da Democrazia Cristiana (governo) e Partito Comunista (opposizione): tantissimi problemi, ma la strada era tracciata e percorribile. Il secondo periodo è segnato dal centro-sinistra, vale a dire dall’apertura governativa ai socialisti. A commento di questa svolta storica riporto, a senso, lo scambio di battute fra Indro Montanelli e Fernando Santi (un socialista radicalmente contrario al centro-sinistra). «Ma perché, onorevole, chiese Montanelli, lei è così ostile a questo nuovo equilibrio politico-governativo?». «Lei non li conosce i miei compagni, rispose Santi, una volta entrati nelle stanze del potere sarà un finimondo…». Poi arrivò il mezzo compromesso storico: i due partiti depositari della vita della Repubblica intendevano collaborare per poi aprire una fase nuova di alternanza tra due forze diverse ma profondamente democratiche (la seconda e la terza fase di Aldo Moro). Non fu possibile e arrivò Craxi con il suo affarismo camuffato da riformismo. Si scatenò tangentopoli e la successiva voglia di pulito incrociò malauguratamente il lavandaio Berlusconi che lavò i suoi panni sporchi (è tuttora intento solo in questa operazione interminabile e complessa) buttando la sporcizia in tutto il sistema.

Stiamo pertanto molto attenti a non confondere il diavolo (il compromesso partitico) con l’acqua santa (la mediazione politica). Anche sul problema del divorzio vi era nella democrazia cristiana chi sosteneva che bisognasse trattare col partito comunista per trovare un compromesso tra i due populismi allora imperanti e con la benedizione del Vaticano. Ebbero ragione da vendere i radicali, in senso lato e in senso stretto.

Secondo Matteo Renzi sarebbero i populisti di sinistra a incallirsi sulle questioni propagandistiche e di bandiera. In certi casi è stato e può essere così, senonché non mi sembra affatto populistica, propagandistica e di bandiera l’iniziativa legislativa per punire in modo esemplare chiunque scada nell’omotransfobia. Credo sia molto più opportunisticamente populista la sua posizione ideologicamente bigotta (una strizzata d’occhio all’ingombrante Vaticano) e tatticamente strumentale (la ricerca di convergenze al centro: non un centro che guarda a sinistra, ma una sinistra che guarda e si accomoda al centro).

Quanto al seguire gli influencer non mi pare che il pulpito renziano meriti l’ascolto della predica. È palese che la politica italiana si dipani sull’onda di personaggi popolari in Rete, che hanno la capacità di influenzare i comportamenti e le scelte di un determinato gruppo di utenti e, in particolare, di potenziali consumatori, nell’àmbito delle strategie di comunicazione e di marketing. Una domandina finale: Matteo Renzi, nel suo periodo di maggior fulgore e tuttora, non sta forse facendo del gran fumo mediatico per gonfiare il suo pallone politico. È pur vero che il partito democratico ha molte travi nel proprio occhio, ma che fra di esse ci sia quella del Ddl Zan, che possa essere Renzi a toglierle in nome del sacrosanto riformismo, che difendere la dignità dei cittadini cosiddetti diversi, in quanto disabili o non allineati sugli orientamenti sessuali, possa essere classificato come populismo o radicalismo ho seri dubbi.

Non ho nascosto e non nascondo di avere nutrito qualche speranza in Matteo Renzi, progressivamente venuta meno in corrispondenza della sua verve sempre più parolaia e sempre meno costruttiva. Il suo atteggiamento di cui sopra può essere la goccia che fa traboccare il vaso, anche se forse il bello deve ancora venire…

In conclusione faccio riferimento al criterio sbrigativo suggerito dal grande giornalista Indro Montanelli per giudicare le persone: “guardategli la faccia…”. Mia sorella era grande ammiratrice di Indro Montanelli, non per le sue idee politiche, ma per il suo approccio ai fatti e soprattutto alle persone. Quindi, quando apparve in prima battuta sulla scena fiorentina Matteo Renzi con tutto il suo profluvio di ambiziose e bellicose mire, andò a prestito dal suddetto criterio montanelliano. E infatti d’acchito sentenziò riguardo a Renzi: «Che facia da stuppid!». Non ebbe purtroppo tempo di vederne la scalata ai massimi livelli del partito e del governo e quindi non sono in grado di sapere cosa ne avrebbe pensato in seguito e cosa ne penserebbe oggi.