In una nota interna Forza Italia stigmatizza il calo dei salviniani: “In due anni bruciati 635 mila voti, in percentuale più dei 5Stelle. Servivano candidati non improvvisati e dal profilo centrista. Gli elettori hanno premiato la fedeltà a Draghi e non la partecipazione critica al governo”.
Il commento ai risultati delle recenti elezioni amministrative, reso ancor più lucido e puntuale alla luce dell’andamento dei ballottaggi, scodellato dal partito di un ringalluzzito Silvio Berlusconi, non fa una grinza, è, dal punto di vista dell’area moderata di destra, lapidariamente lucido e logico. Si intravede una sorta di masochistico compiacimento associato a un criptico avvertimento. Berlusconi evidentemente e giustamente non ne può più di alleati politicamente scorretti e inconcludenti. È velenoso, anche se assai pertinente, il parallelismo tra la conclamata deriva elettorale grillina e la sintomatica perdita di consensi da parte della Lega. Il cavaliere dovrebbe però rispolverare la verve polemica del 2018, allorché in piena campagna elettorale affermò in un comizio che avrebbe volentieri mandato gli aspiranti politici grillini a pulire i cessi di mediaset. Se tanto mi dà tanto, Salvini e c. li dovrebbe mandare a…
Nella nota forzitaliota ci sono tre considerazioni molto precise. Innanzitutto la solita menata delle elezioni che si vincono al centro: estremizzare i discorsi può illudere di riuscire a raccattare consensi, che però durano l’espace d’un matin, quello della dimostrazione dell’incapacità a governare. In secondo luogo per governare, al centro come in periferia, occorrono i voti, ma soprattutto occorre esserne capaci e dimostrarlo con candidature valide all’uopo, vale a dire rassicuranti e invitanti. In terza battuta, col governo Draghi non si può scherzare dando un colpo al cerchio della piazza e un colpo alla botte del palazzo: si tratta di una minestra da mangiare pena il salto dalla finestra elettorale.
Si legge una pesante critica alla tattica leghista e addirittura una netta presa di distanza, al limite della totale incompatibilità, da quella meloniana. Non sono più i bei tempi in cui Berlusconi poteva fare da federatore tra un pimpante e rampante leghismo bossiano, un revisionistico e ragionato “destrismo” finiano, un nostalgico e simbolico “centrismo” casiniano: il tutto legato nel tegame del modernismo forzista. Le cose sono cambiate, la musica è sempre la stessa, ma i suonatori stonano in continuazione.
Forse però Berlusconi dovrebbe fare anche una seria autocritica. Lasciamo stare le sue maniacali scorribande sessuali che non hanno ancora finito di procurargli guai, andiamo al sodo: il berlusconismo è stato un autentico disastro e quindi lui non può pretendere di tornare direttamente o indirettamente in sella come se niente fudesse. Non è riuscito a creare intorno a sé un minimo di ricambio credibile, è rimasto con pochi, carissimi ma inconsistenti amici. Quindi credo che Salvini e Meloni se ne faranno un baffo delle reprimende berlusconiane pur capendo benissimo che ha perfettamente ragione.
Ecco perché il centro-destra è un cantiere apertissimo, contendibilissimo e scomponibilissimo. Chi continua a profetizzare testardamente che questo centro-destra vincerà a piene mani le prossime elezioni politiche ne tenga conto. I giochi sono ancora tutti da giocare. Siamo solo all’inizio. Può darsi che di Salvini, Meloni e Berlusconi in breve volgere di tempo non resti neanche la polvere. Se Berlusconi anche involontariamente dovesse essere l’artefice di questo rimescolamento, che potrebbe peraltro vederlo definitivamente surclassato, gli dovremmo essere grati. Gli perdoneremmo tutti i peccati per un’opera di misericordia, quella di mandare a casa Salvini e Meloni. Mi fermo qui, perché, se non fuggo, abbraccio Berlusconi.