Mette i brividi leggere le conclusioni della perizia della Procura di Genova: “Camilla Canepa era sana: la morte ragionevolmente dovuta a effetti avversi di AstraZeneca”. La consulenza degli esperti conferma quanto sempre sostenuto dai genitori della ragazza di Sestri Levante. Escluso anche un qualche ruolo di altri farmaci. Camilla Canepa, la 18enne di Sestri Levante morta lo scorso 10 giugno dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca, non aveva alcuna patologia pregressa. In più, non aveva assunto farmaci che potessero in qualche modo interferire con l’iniezione del siero di Oxford. E dunque la trombosi cerebrale con livello di piastrine basse nel sangue che ne ha causato il decesso “ragionevolmente è da riferirsi a effetti avversi della vaccinazione”.
Gli scienziati diranno che comunque un caso isolato non può fare testo e non mette in discussione la validità di un vaccino. Una rondine non fa primavera e allora, per pazza analogia, un cadavere non mette in crisi la vaccinazione anti-covid. Non intendo speculare su questo grave fatto, ma prenderlo a riferimento per creare qualche scrupolo a quanti ostentano inesistenti certezze e su di esse tendono a criminalizzare chi osa dubitare e protestare contro regole rigidamente varate ed applicate.
La questione è di una delicatezza estrema e come tale andrebbe gestita, con grande equilibrio e rispetto per tutti. La vita e la morte delle persone non vanno contabilizzate come noccioline. La morte di questa ragazza pesa enormemente e dovrebbe costringere tutti a maggiore sobrietà e prudenza a livello scientifico e politico.
La guerra al covid comporta anche di morire a causa del fuoco amico: qualcuno lo ritiene un fatale incidente di percorso, che nulla toglie alla necessità della guerra stessa. Non accetto questo approccio cinico. Lungi da me squalificare tutto e tutti, però usare un po’ più di equilibrio non sarebbe male.
Penso che tutti rammentino la tragicomica manfrina delle autorità sanitarie e dei governanti rispetto all’uso del vaccino astrazeneca per non parlare del clamorosamente titubante percorso dell’approvvigionamento dei vaccini in genere. Tento di ricostruirla in modo approssimativo, ma sostanzialmente oggettiva e attendibile: prima una sdegnosa negazione dell’evidenza di ogni e qualsiasi rischio da gravi effetti collaterali, poi le prime timide ammissioni, poi il ritiro per accertamenti, poi la sospensione della somministrazione da parte di alcuni Stati, poi la tranquillizzante sentenza di innocuità, poi il consiglio di non somministrare astrazeneca ai giovani, poi, parola torna indietro, la direttiva di non somministrarlo agli anziani (o viceversa), poi il progressivo abbandono di quel tipo di vaccino sostituito da altri ritenuti più sicuri. Sembrava un esercizio acrobatico senza rete sulla pelle della gente in spasmodica attesa di un antidoto salvavita.
Quindi, se in un simile quadro di riferimento, una persona ha paura, non lo si può catalogare tra i vigliacchi e gli irresponsabili dal punto di vista civico, tra gli egoisti dal punto di vista etico-religioso, non lo si può bollare come un soggetto in preda ad una irrazionale deriva anti-scientifica. Il discorso è molto più articolato e complesso. Perché se la scienza è così tranquillamente schierata a favore della vaccinazione a tutti i costi, ai vaccinandi viene fatta firmare una dichiarazione esimente le responsabilità di chi somministra il vaccino? Se non erro, lo si fa per gli interventi chirurgici e le terapie a grave rischio. E allora, c’è o non c’è il rischio?
È pur vero che occorre avere il coraggio di prendere decisioni, non si può rimanere nel limbo, ma nemmeno far passare per paradiso quel che è purgatorio. Bisognerebbe parlare poco e a tono, con grande sincerità e senza penalizzare chi non rimane convinto delle parole e ancor meno dei fatti.
La perizia della procura è già un passo avanti rispetto ai silenzi più o meno omertosi, che si verificano generalmente nelle inchieste in campo sanitario. Quando mio padre commentava la morte di una persona di cui non si riusciva a trovare la causa e ancor meno le eventuali responsabilità in capo alle persone direttamente o indirettamente coinvolte, concludeva sarcasticamente: «As védda che quälcdòn al gà preghè un cólp…».