Si stanno sempre più profilando due rischi a proposito di draghismo imperante, che rendono problematica (?) la vita del governo tecnico, che influenzano la prossima elezione del Presidente della Repubblica, che condizionano il calendario istituzionale (le future elezioni politiche e la loro data di celebrazione) e quello politico (le manovre di riposizionamento riguardanti un po’ tutti i partiti).
Faccio un passo indietro: il governo Draghi non è stato un gioco di prestigio effettuato da Sergio Mattarella, ma una responsabile e costruttiva presa d’atto della debolezza partitica a fronte di una situazione emergenziale gravissima. In parole povere i partiti non ci saltavano fuori e, prima che fosse troppo tardi e anche per non andare al voto in piena pandemia, il Capo dello Stato ha fatto una proposta interessante e ultimativa: o Draghi o Draghi! La politica ha chinato la testa obtorto collo, ha votato Draghi in attesa di riprendere il posto che le spetta di diritto, ma che non riusciva a ricoprire degnamente.
Cosa ha fatto e sta facendo Draghi? Nel merito sta affrontando la pandemia secondo lo schema classico peraltro già, almeno in parte, adottato da Giuseppe Conte: affidarsi alla scienza e sveltire la manovra della vaccinazione. Mi permetto di non essere d’accordo: ciò crea problemi alla mia coscienza dal punto di vista etico e civico, ma non certo a Mario Draghi, che procede imperterrito sulla sua strada del “prendere o lasciare”.
L’accelerazione significativa è stata impressa puntando sul discorso economico-finanziario con il varo del piano di investimenti consentito dai fondi Ue e l’avvio assai impegnativo della sua attuazione: da una parte Draghi ci ha portato a casa considerazione e aiuti, dall’altra quando si è trattato di porre le basi riformatrici per la costruzione della ripresa sono usciti i limiti della sua capacità politica di indirizzo e di compromesso. Sì, perché sta sempre più adottando lo stile del “padrone di casa”: se vi va bene è così, diversamente è lo stesso e io vado avanti comunque. Semmai mi manderete a casa o mi offrirete addirittura una casa migliore io vedrò il da farsi…
La cosa sta assumendo una portata al limite del provocatorio: così come la cancelliera Merkel si è sempre aggirata nei corridoi europei con un piglio da padrona di casa, anche Draghi, con il suo fare di tutt’altro stampo, sta facendo il bello e cattivo tempo. I media, salvo qualche rara e preconcetta eccezione, appoggiano l’uomo forte al comando, la gente non può che approvare, i partiti cominciano a scalpitare.
Al rischio draghiano di esagerare col decisionismo (fatto di ministri ridotti al ruolo di cagnolini collocati in certe automobili vicino al lunotto posteriore, che dicono di sì ad ogni movimento della macchina stessa) sta rispondendo il rischio del disamore partitico nei confronti di un governo estraneo al loro mondo.
I limiti del premier sono sempre più evidenti: non è un politico e si vede. Questa è la sua forza, ma giorno dopo giorno sta diventando la sua debolezza. Mi pare sia giunto il momento di chiarire cosa vuole fare: se intende governare fino al 2023, deve ripiegare su un metodo assai più dialogante e compromissorio; se pensa di salire al Colle, chiarisca fin da subito come vede il dopo-Draghi: elezioni subito o un secondo ancor più smaccato governo del nuovo presidente; se addirittura pensa di poter rimanere al governo anche dopo le prossime elezioni politiche, dovrebbe trovare, a maggior ragione, un preventivo feeling con la politica, non più “ricattandola”, ma “prendendola per mano”.
I partiti sono combattuti tra il disperato e statico mantenimento del posto di lavoro dei parlamentari angosciati dalla prospettiva di essere dimezzati e mandati a casa prima di aver maturato il diritto alla pensione e la ricerca dinamica di un futuro che consenta tatticamente ripresa di consenso e di ruolo. Un modo elegante per dire che non sanno quali pesci pigliare, anche se si fa sempre più forte la tentazione di pescare a dispetto di Draghi.
La confusione regna sovrana nel centro-destra: per trovare un punto di incontro nella candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale bisogna essere veramente disperati. Per illudersi di “ricattare” Draghi, proponendogli una presidenza della Repubblica a condizione della immediata indizione di elezioni politiche, bisogna essere dilettanti allo sbaraglio; se si intende soltanto alzare il prezzo si sappia che il mercato lo fa Draghi.
Il centro-sinistra è un cantiere talmente aperto da non avere nemmeno un progetto di costruzione: la propensione quindi non può che essere quella di affidarsi mani e piedi al “padrone di casa”, sperando che gigioneggi un po’ meno e lasci cadere qualche briciola di potere dalla sua tavola.
Più i partiti pensano di disfarsi della sempre più ingombrante presenza di Mario Draghi, più il suo fantasma li perseguita e li opprime: con lui devono fare i conti. Do atto a Silvio Berlusconi di avere voluto e capito tutto ciò. E quindi cosa sta pensando? Di fargli da paraninfo: tirare la volata a Draghi facendo finta di rimanere in gruppo con Salvini e Meloni, sperando magari, in una qualche contropartita tutta da inventare. La politica, nonostante tutto, è ancora abbondantemente berlusconizzata.