Quota 100 è una prestazione economica erogata, a domanda, ai lavoratori dipendenti e autonomi che maturano, nel periodo compreso tra il primo gennaio 2019 e il 31 dicembre 2021, i requisiti prescritti dalla legge, vale a dire essere in possesso di un’età anagrafica non inferiore a 62 anni e di un’anzianità contributiva non inferiore a 38 anni.
Con l’approssimarsi della scadenza di questa possibilità per i lavoratori il governo ha escogitato un meccanismo di graduale ritorno alla normalità prevista dalla tanto detestata legge Fornero, vale a dire in pensione dopo aver compiuto 67 anni o dopo aver maturato 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne, o 42 anni e 10 mesi per gli uomini.
Il consiglio dei ministri (forse sarebbe meglio dire il premier Draghi e il ministro Franco), ha indicato le linee guida principali, anche se sui nuovi metodi per consentire il pensionamento anticipato non ci sono ancora certezze assolute. La proposta per superare Quota 100 e smussare lo scalone che si verrebbe a creare con la fine di quota 100, è quella legata a un doppio intervento: Quota 102 nel 2022 e Quota 104 a partire dall’anno successivo, nel 2023. Il sistema di funzionamento di queste misure è il seguente: con Quota 102 si va in pensione a 64 anni, con 38 anni di contributi versati. Quota 104 innalza di due anni, e quindi a 66 anni, l’età utile per uscire dal mondo del lavoro.
La soluzione pensata dal governo, però, non sembra entusiasmare le organizzazioni sindacali. Sia la Cisl sia la Uil, in particolare, chiedono al premier Draghi di dare vita a una task force sulle pensioni, un tavolo permanente con il coinvolgimento dei sindacati. La Cgil ha fatto i calcoli e boccia la proposta del governo: “È inutile, non darebbe alcuna risposta, appena 10mila beneficiari in due anni”. Anche Confindustria è scesa in campo: pensiamo ai giovani.
La Lega, che, fin dal patto governativo col M5S ai tempi del primo governo Conte, ha fatto di quota 100 una vera e propria questione identitaria, tramite il suo leader (?) Matteo Salvini lascia intendere chiaramente di non essere d’accordo e chiede un incontro al premier: “No a interventi a gamba tesa”.
Dal canto loro Draghi e Franco sembrano alzare il muro dei numeri per fermare l’assalto alla manovra: vanno bene gli incontri con le parti sociali, ma non ci sono “tesoretti” da spendere per la previdenza.
In buona sostanza Matteo Salvini sta alzando il prezzo e anche la voce, i sindacati provano a fare lo stesso, ma sul ritorno alla riforma Fornero il presidente del Consiglio Mario Draghi non ha alcuna intenzione di cedere. A Bruxelles al termine del Consiglio europeo ha parlato esplicitamente di “gradualità nel passaggio alla normalità”. La gradualità sembra una illusione mentre la normalità, l’età pensionabile a 67 anni, è la triste realtà.
Il sistema pensionistico è un punto molto delicato e bollente e Draghi rischia di scottarsi, incrinando quel patto di non belligeranza su cui si fonda il suo governo. Sulle pensioni tutti tendono a perdere ogni ritegno ed a lasciarsi andare alla più sfrenata delle demagogie. Il sindacato ha ingoiato la pillola del green pass ed ora sembra dire basta: cosa ci sta a fare il sindacato se non difende i diritti dei pensionandi e dei giovani in cerca di lavoro? Scommessa persa in partenza, ma purtroppo è così…
La Lega ingoia a giorni alterni i rospi del draghismo e si chiede: cosa ci sto a fare con un piede dentro e uno fuori dal governo? Gli amici/nemici di Fratelli d’Italia stiano pure all’opposizione, ma non ci diano fastidio. Le agevolazioni pensionistiche rappresentano l’ultimo baluardo difensivo per una Lega rimasta senza padri, senza figli, senza fratelli e con i voti in caduta libera.
Per quanto concerne il sistema pensionistico ci sono dei brutti precedenti storici a livello di governo. Il governo Dini cadde sulle pensioni, il governo Monti si inimicò mezzo mondo e non bastarono le lacrime di Elsa Fornero ad evitare il sangue e le conseguenze di una politica impopolare e vessatoria. Non intendo fare l’uccello del malaugurio, ma sento puzza di bruciato. Chi tocca le pensioni muore. Non c’è scalone o scalino che tenga. Fin che si scherza si scherza, ma, quando ci si inoltra nel campo minato delle pensioni, si rischia grosso.
Mio padre diceva con molta gustosa acutezza: «Se du i s’ dan dil plati par rìddor, a n’è basta che vón ch’a guarda al digga “che patonón” par färia tacagnär dabón». I pensionandi potrebbero fare la parte di quelli che guardano e fanno litigare veramente coloro che finora i s’devon dil plati par rìddor.