Il sinodo pansindacale

L’adunata oceanica promossa dal sindacato per contrastare il pericoloso scivolamento a destra del disagio e della protesta sociale mi ha interessato più per gli obiettivi inconfessati ma intravedibili in filigrana che per i conclamati e scontati slogan antifascisti.

Negli anni sessanta si chiedeva a gran voce la messa fuori legge del Movimento Sociale, cosa ben più pesante e preoccupante della odierna galassia destrorsa culminante in Forza Nuova. Mi sembra che la legislazione vigente sia sufficientemente chiara e offra i percorsi adeguati alla difesa giuridica della democrazia. Quindi il problema non è questo.

C’era nella stracolma piazza “pansindacale” la voglia, non dichiarata ma viva, di ritrovare un ruolo decisivo per il sindacato dei lavoratori. Forse la debolezza partitica crea quei vuoti che possono essere colmati nelle piazze? Ci ha tentato Beppe Grillo con disastrosi risultati, ci sta tentando Matteo Salvini con esiti piuttosto contraddittori e snaturanti, ci sta guazzando Giorgia Meloni rischiando di affogare nella melma estremista.

Ed eccoci al sindacato che vorrebbe recuperare un ruolo politico, partendo appunto dalle piazze, sdoganate dalle tentazioni pentastellate, dalle illusioni leghiste e dalle nostalgie fasciste.

Vorrei tentare un parallelismo impossibile. Agli albori di “mani pulite”, il vuoto dei partiti, scombussolati a morte nel loro dilagante affarismo, fu in qualche modo colmato dalla magistratura inquirente, salvo essere precipitosamente recuperato dal nascente berlusconismo. Avemmo di che “divertirci” per vent’anni, il lungo tempo per risvegliarsi dal sogno forzitaliota.

Oggi non si vede nessuna luce alla fine del tunnel: stiamo sopravvivendo dentro il polmone d’acciaio draghiano, ma non si intravede una via d’uscita che ci consenta di ritornare a respirare con i normali polmoni della politica e della democrazia. Qualcuno sta addirittura farneticando di strade riferite ad un irripetibile e sciagurato passato. Mi chiedo: il sindacato sta tentando di rilanciare alla grande e di proporsi come costruttore dell’edificio da ristrutturare se non addirittura da ricostruire?

Piazza, lavoro, equità, democrazia possono costituire il poker d’assi in mano a Maurizio Landini, ammesso e non concesso che non stia bluffando?  Il sindacato si sta candidando a guidare in tutti i sensi la ripresa della nostra società in crisi? Alla vacanza politica, colmata dalla tecnicalità governativa, può succedere una stagione a forte impatto sindacale?

La Chiesa ha avviato un percorso sinodale che dovrebbe ridisegnare il suo ruolo nella partecipazione e nel protagonismo di tutti i credenti. Il papa si è affrettato a dire che non si dovrà trattare di una velleitaria convention, di una brutta copia parlamentare, di un riciclaggio formale, di un esercizio intellettuale, di una testarda difesa dello status quo.

Se il sindacato vuole avviare una fase nuova di suo impegno dovrà battere cassa dal Papa, dall’unico personaggio capace di una visione globale, non dovrà battere le piazze ma i luoghi di lavoro dove si muore quotidianamente, le fabbriche dove i posti di lavoro agonizzano, i gangli di un’economia malata e inquinata, i meccanismi di una società ingiusta e conflittuale. Auguri di vero cuore, da una persona che ha sempre visto nel sindacato dei lavoratori non l’occupante ma l’interlocutore principale delle istituzioni democratiche.