Quando, molti anni fa, bazzicavo Roma, per motivi professionali e non solo, rimanevo stupito dall’invadenza della propaganda missina: allora il fascismo si chiamava così. In tutte le strade erano esposti manifesti della fiamma tricolore, definita da un mio mattacchione cugino in vena di nostalgia come la fiamma del gas che fa bollire la pentola (lasciamo stare di qual pentola si potesse trattare). Un altro mondo, quello clerico-fascista sempre vivo e vegeto soprattutto nella capitale. D’altra parte nel 2006 l’elezione a sindaco di Gianni Alemanno non è forse stata espressione di questo mondo?
A Roma si continua a respirare questa aria viziata ed il pericolo è sempre a portata di man…ganello. Non ci mancava altro che il casino combinato da Forza Nuova per avvelenare il clima, riportando lo scontro politico a contrapposizioni che sembravano superate, almeno formalmente. La bagarre estremista influirà sui risultati del prossimo ballottaggio per l’elezione del sindaco di Roma?
In campo ci sono Enrico Michetti e Roberto Gualtieri. Michetti, nella corsa alla guida della Capitale, ha rappresentato il centrodestra e al primo turno delle amministrative 2021 ha corso con il sostengo di Fratelli d’Italia, Forza Italia-Udc, Lega, Rinascimento e Cambiamo, Partito liberale europeo, Lista Civica per Michetti e Lega. Al primo turno ha ottenuto poco più del 30% dei consensi, mentre lo sfidante Gualtieri, candidato del centro-sinistra si è attestato al 27%.
Sono due candidature, piuttosto sbiadite dal punto di vista personale, ma molto colorite dal punto di vista politico. Chi la spunterà? Riuscirà Michetti a fare il pieno del modo romano di destra appartenente soprattutto all’estrema destra? Riuscirà Gualtieri a imbarcare almeno in parte l’elettorato pentastellato, vedovo di Virginia Raggi e quello calendiano, espressione del civismo coi numeri (per dirla con Vittorio Sgarbi)?
Influirà lo sputtanamento post show di Forza Nuova? Non ho idea se scatterà l’ulteriore orgoglio destroso o prevarrà una certa qual presa di distanza del “moderatume” capitolino. Che nel 2021 nel dibattito politico della capitale italiana sia ancora al centro la questione fascista è cosa indegna. Pur dando atto a mia sorella di essere spietatamente realista nel giudicare gli italiani “ancora fascisti”, la cosa rimane vergognosamente imbarazzante. Il solo fatto di stare a vedere se il fascismo resista a Roma tra carognate di piazza e strizzate d’occhi di palazzo, è di una gravità incredibile e scioccante.
Non so se sia meglio che la realtà emerga in tutta la sua drammatica nostalgia o se sia auspicabile una sonora sconfitta di chi liscia il pelo al fascismo nascondendosi magari (storia vecchia) dietro gli opposti estremismi. Possibile che a Roma non si riesca a parlare minimamente dei problemi e si resti invischiati nell’ideologia: cinque anni fa si chiamava antipolitica di Virginia Raggi, oggi si chiama equivoco politico di Giorgia Meloni (dal minor male al più grande dei peggio).
Il partito democratico ha perso, come spesso gli accade, una storica occasione per sparigliare i giochi, appoggiando la candidatura di Carlo Calenda: forse avrebbe vinto al primo turno, ma comunque avrebbe riscattato la politica riportandola a misura dei problemi. Invece siamo ancora qui con Roma capitale della nostalgia fascista. Il vaccino antifascista evidentemente non è stato impiegato: forse anziché intestardirsi su quello anti-covid era meglio inoculare con la buona politica gli anticorpi della democrazia.