Le aeree buone intenzioni di Bergoglio

Ho vissuto fin dall’inizio con commossa attenzione il papato bergogliano vedendolo come l’agognata e storica occasione riformista della Chiesa. Devo ammettere che, strada facendo, la speranza si sta trasformando in illusione dal momento che il papa fa belle dichiarazioni ex aereo che vengono puntualmente smentite dalla irreprimibile conservazione teologica e dalla ondivaga prassi pastorale. Ho sempre pensato con notevole apprensione che il problema per papa Francesco fosse quello di trasfondere sul piano strutturale e gestionale le sue idee innovative. Di questo lui non sembra preoccuparsi più di tanto, confidando nella forza dell’annuncio e dello stile evangelico su cui insiste pervicacemente. Alla lunga però credo sia necessario mettere mano a certe riforme se non si vuole che anche le autorevoli parole del papa restino lettera morta e le diatribe pseudo-teologiche e le contraddizioni pastorali si scarichino addosso ai cristiani in difficoltà.

Se poi aggiungiamo le manovre di ostile accerchiamento che si stanno facendo intorno a Bergoglio, sembra che, in risposta subliminale a questa vergognosa offensiva, anche gli annunci, finora piuttosto provocatori e piccanti, stiano rientrando in una sorta di morbida prassi comunicativa. Della serie “più di questo non posso dire…”. Non arrivo a pensare che papa Francesco stia facendo un passo avanti e due indietro: sarebbe oltre modo ingeneroso e al limite della cattiveria. Forse però ai numerosi e annunciati passi avanti segue una certa qual tendenza a segnare il passo, a parlare bene lasciando che gran parte della Chiesa razzoli male.

Da un lato emerge un imbarazzante e clericale (anche il lupo papale perde il pelo ma non il vizio) semplicismo da bar vaticano. Prendo al riguardo un passaggio dall’ultima conferenza stampa concessa in aereo al ritorno dal frenetico viaggio in Ungheria e Slovacchia.

La vaccinazione ha diviso i cristiani, anche in Slovacchia. Lei dice che è un atto d’amore fare il vaccino. Allora, quando non si fa il vaccino, come lo chiamerebbe? Perché alcuni credenti, pure, si sono sentiti discriminati. Ci sono anche diversi approcci nelle diverse diocesi su questo punto (…) e quindi come riunirsi, come riconciliarci su questo tema?

È un po’ strano perché l’umanità ha una storia di amicizia con i vaccini: il morbillo, la poliomielite… Ora è arrivato questo. Forse è arrivato per la virulenza e l’incertezza, non solo della pandemia, ma anche per la diversità dei vaccini e anche la fama di alcuni vaccini, che non sono adatti o sono un po’ più che acqua distillata. Questo nella gente ha creato una paura. Altri che dicono che è un pericolo perché affermano che col vaccino ti entra il virus dentro e tante argomentazioni che hanno creato questa divisione. Anche nel Collegio cardinalizio ci sono alcuni negazionisti e uno di questi, poveretto, è ricoverato con il virus. Ironia della vita. Non so spiegarlo bene, alcuni dicono perché i vaccini non sono sufficientemente sperimentati e hanno paura… Si deve chiarire e parlare con serenità di questo. In Vaticano sono tutti vaccinati tranne un piccolo gruppetto che si sta studiando come aiutare.

Un po’ poco, forse meglio il silenzio piuttosto che il vizio clericale di sdrammatizzare i drammi e addolcire le sofferenze…degli altri. Se lasciassimo parlare la coscienza degli individui…

Dall’altro lato spunta la necessità di ribadire i principi (gira e rigira il dogmatismo è in agguato anche nella mentalità bergogliana) a scapito di quella ben più impellente di mettersi, veramente e non paternalisticamente, dalla parte di chi vive problemi enormi sulla propria pelle. Riporto un altro lungo passaggio dal resoconto del dialogo con i giornalisti.

Lei spesso ha detto che siamo tutti peccatori e che l’Eucaristia non è premio per i perfetti, ma una medicina e un alimento per i deboli. Come lei sa, negli Usa dopo le ultime elezioni c’è stata tra i vescovi una discussione sul dare la comunione ai politici che hanno sostenuto le leggi sull’aborto e ci sono vescovi che vogliono negare la comunione al presidente e alle altre cariche. Altri vescovi sono favorevoli, altri dicono di non usare l’Eucarestia come arma. Lei cosa pensa e cosa consiglia ai vescovi? E lei come vescovo in tutti questi anni ha pubblicamente rifiutato l’Eucaristia a qualcuno?

Non ho mai rifiutato l’Eucaristia a nessuno, non so se è venuto qualcuno in queste condizioni! Questo da prete. Mai sono stato cosciente di avere davanti a me una persona come quella che lei mi descrive, quello è vero. L’unica volta che ho avuto una cosa simpatica è stato quando sono andato a servire Messa in una casa di riposo. Ero nel salotto e ho detto: ‘Chi vuole la comunione?’. Tutti i vecchietti hanno alzato la mano. Una vecchietta ha alzato la mano, ha preso la comunione e ha detto: “Grazie, sono ebrea”. E io: “Anche quello che ti ho dato è ebreo!”. Ma la signora si comunicò prima e dopo me l’ha detto… La comunione non è premio per i perfetti – pensiamo al giansenismo, pensiamo a Port Royal (des Champs), al problema di Angélique Arnaud, i perfetti possono comunicarsi – la comunione è un dono, un regalo, è la presenza di Gesù nella Chiesa e nella comunità. Poi, coloro che non stanno nella comunità non possono fare la comunione, come questa signora ebrea, ma il Signore ha voluto premiarla a mia insaputa. Fuori dalla comunità – scomunicati – perché non sono battezzati o si sono allontanati. È un termine duro, ma questo vuol dire che non stanno nella comunità, o perché non appartengono, non sono battezzati o perché si sono allontanati per alcune cose. 

Secondo problema, quello dell’aborto: è più di un problema, è un omicidio, chi fa un aborto uccide, senza mezze parole. Prendete voi un qualsiasi libro di embriologia per studenti di medicina. La terza settimana dal concepimento, tutti gli organi stanno già lì, tutti, anche il Dna… È una vita umana! Questa vita umana va rispettata, questo principio è così chiaro! A chi non può capire, farei questa domanda: è giusto uccidere una vita umana per risolvere un problema? È giusto assumere un sicario per uccidere una vita umana? Scientificamente è una vita umana. È giusto farla fuori per risolvere un problema? È per questo la Chiesa è così dura su questo argomento, perché se accettasse questo è come se accettasse l’omicidio quotidiano. Mi diceva un capo di Stato che il calo demografico è cominciato perché in quegli anni c’è stata una legge sull’aborto così forte che hanno fatto sei milioni di aborti e questo ha lasciato un calo di nascite nella società di quel Paese.

Adesso passiamo alla persona che non è nella comunità, non può fare la comunione. Questa non è una pena, no, tu stai fuori. La comunione è un unirsi alla comunità. Ma il problema non è teologico, è pastorale, come noi vescovi gestiamo pastoralmente questo principio e, se noi guardiamo la storia della Chiesa, vedremo che ogni volta che i vescovi hanno gestito non come pastori un problema si sono schierati sul versante politico. Pensiamo alla notte di San Bartolomeo: eretici, sì, ma l’eresia è gravissima… sgozziamoli tutti… Pensiamo a Giovanna d’Arco, alla caccia alle streghe… A Campo di Fiori, a Savonarola. Quando la Chiesa per difendere un principio lo fa non pastoralmente, si schiera sul piano politico. Questo è sempre stato così, basta guardare la storia. Cosa deve fare il pastore? Essere pastore, non andare condannando. Ma anche il pastore degli scomunicati? Sì, è pastore e deve essere pastore con lui, essere pastore con lo stile di Dio. E lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza. Tutta la Bibbia lo dice. Vicinanza già nel Deuteronomio in cui dice a Israele: “Dimmi quali popoli hanno gli dei così vicini come tu hai me?”. Vicinanza, compassione. Il Signore che ha compassione di noi. Leggiamo Ezechiele, leggiamo Osea. Basta guardare il Vangelo e le cose di Gesù. Un pastore che non sa gestire con lo stile di Dio, scivola e si mette in tante cose che non sono da pastore. Non vorrei particolarizzare, perché lei ha parlato degli Stati Uniti e non conosco bene bene i dettagli, do il principio. Lei mi può dire: se lei è vicino, è tenero, è compassionevole con una persona, le darebbe la comunione? È un’ipotesi, il pastore sa che fare, in ogni momento. Ma se esce dalla pastoralità della Chiesa immediatamente diventa un politico. Questo lo vedete in tutte le condanne non pastorali della Chiesa… Questo lo vedrete in tutte le denunce, in tutte le condanne non pastorali che fa la Chiesa. Con questo principio credo che un pastore può muoversi bene. I principi sono della teologia. La pastorale è la teologia e lo Spirito Santo che ti conduce a farlo con lo stile di Dio. Io oserei dire fino a qua. Se lei mi dice: ma si può dare o non si può dare? É casistica, quello che lo dicano i teologi. Si ricorda lei la tempesta che si è armata con Amoris laetitia, quando è uscito quel capitolo di accompagnamento agli sposi separati, divorziati… Eresia, eresia! Grazie a Dio c’era il cardinale Schönborn, che è un grande teologo e ha chiarito le cose. Ma sempre questa condanna, condanna… Già basta con la scomunica, per favore non mettiamo più scomunica…. Povera gente, sono figli di Dio, (…) ma sono figli di Dio e vogliono e hanno bisogno della nostra vicinanza pastorale. Poi il pastore risolve le cose come lo Spirito indica.

Mi permetto di controbattere alle troppe parole ed ai pochi fatti del papa, usando le poche parole e i molti fatti di don Andrea Gallo: «Sta’ a sentire, non incastriamoci nei principi. Se mi si presenta una povera donna che si è scoperta incinta, è stata picchiata dal suo sfruttatore per farla abortire o se mi arriva una poveretta reduce da uno stupro, sai cosa faccio? Io, prete, le accompagno all’ospedale per un aborto terapeutico: doloroso e inevitabile. Le regole sono una cosa, la realtà spesso un’altra. Mi sono spiegato?».

Mi risulta che durante un colloquio tra papa Giovanni Paolo II e monsignor Hilarion Capucci, arcivescovo cattolico e attivista siriano, un personaggio controverso della vita religiosa e politica del Medio Oriente, sia stata presa in considerazione la drammatica situazione di monache stuprate per le quali si sarebbe posta l’eventuale possibilità dell’aborto. Monsignor Capucci era favorevole ad affrontare con grande flessibilità e realismo questi dolorosi casi. Il papa era drasticamente contrario ad ogni eccezione alla regola antiabortista. Ad un certo punto la tensione salì e il “trasgressivo” porporato chiese provocatoriamente al papa: «Ma Lei Santità crede di essere Dio?». Il papa, probabilmente preso alla sprovvista, non seppe rispondere altro che: «Preghiamo, preghiamo…». Con tutto il rispetto per l’allora papa credo che pregare sia importante, ma non basti.

Quanto alla comunione ai divorziati, come dice padre Alberto Maggi, purtroppo il sacramento del matrimonio non ci mette automaticamente al riparo da errori e vicende che pongono a dura prova l’indissolubilità fino a buttarla all’aria: in questi casi meglio prendere atto e guardare avanti. Così come non mi sento di considerare l’aborto sempre e comunque come un omicidio, non ritengo giusto fare dei divorziati un problema da affrontare col misurino del teologo o col bastone, più o meno nodoso, del pastore.