Non sono solito bersagliare sbrigativamente quanti si rendono protagonisti di comportamenti trasgressivi prima che tali fatti vengano opportunamente indagati, obiettivamente giudicati ed eventualmente penalmente puniti. Non mi piace affatto trasformare immediatamente in capri espiatori coloro che si propongono alla pubblica opinione per le loro scelte di vita e per i loro atti a prima vista censurabili.
Questa la doverosa premessa prima di commentare il fatto di Voghera laddove i cittadini giudicano un loro amministratore comunale in modo implacabilmente colorito: “L’assessore è soprannominato lo ‘sceriffo’, gira sempre con la pistola”. Ho ascoltato queste inquietanti dichiarazioni ed ho obbligatoriamente posto la dovuta attenzione a quanto dichiarato dall’interessato: “Mi ha spinto ed è partito un colpo”. Così si è giustificato Massimo Adriatici, arrestato per avere sparato il colpo di pistola che una sera, poco dopo le 22, ha ucciso Youns El Boussetaoui, un marocchino che non era certo uno stinco di santo. Sono ancora poco chiare le dinamiche di come sia avvenuta la lite ma chi conosceva Adriatici – assessore alla sicurezza del Comune di Voghera (Pavia), sovrintendente di Polizia presso il commissariato vogherese fino al 2011 – parla dell’esponente leghista come di uno “sceriffo” già conosciuto in città per i suoi modi aggressivi.
Con le arie che tirano non mi scandalizzo, non criminalizzo il leghista Adriatici, lascio alla giustizia il suo iter, ma faccio brevi riflessioni a caldo. È opportuno che un ex poliziotto svolga la funzione di assessore alla sicurezza? Un conto è il compito della polizia, altro è il discorso di un’amministrazione locale. Non vorrei che, sulle improprie ali della scelta emergenziale dei tecnici al governo della cosa pubblica, sulla sacrosanta esigenza di qualificare la politica con iniezioni di competenza ed esperienza, si avvalorasse l’ipotesi di delegare la sicurezza appunto ad un ex poliziotto, la salute ad un ex direttore sanitario di un ospedale, la cultura ad un ex responsabile di un teatro e così via. Sarebbe una semplificazione che non esito a definire anti-democratica.
Una seconda questione riguarda l’atteggiamento di coloro che svolgono pubbliche e delicate funzioni: non si possono mescolare lo stile di vita personale con quello di amministratore della cosa pubblica. Il consiglio comunale non è un saloon, la giunta comunale non è il bar all’angolo, i cittadini non sono sudditi a cui impartire lezioni pratiche di civismo a rovescio. Nella confusione è quasi inevitabile che ci scappi qualche evento clamoroso a livello di violenza occulta o palese.
Il terzo discorso è relativo alla detenzione e all’uso delle armi. Sarebbe più che opportuno che le armi fossero in possesso solo ed esclusivamente dei soggetti a rischio della propria vita per motivi professionali e comunque, anche in questi casi, se ne facesse un uso rigorosamente controllato e controllabile. Non ci sta che un assessore comunale abbia in tasca una pistola.
Mi sia consentita, in conclusione, una considerazione politica un tantino velenosa. Tanti anni fa ero segretario di sezione del partito della Democrazia Cristiana: mi sosteneva una larga e per certi versi anomala maggioranza con idee provenienti dall’impostazione tipica della sinistra democristiana. C’era tuttavia una minoranza silenziosa che mi sopportava faticosamente e faceva fatica ad esprimersi. Fu sufficiente, durante un dibattito, che uscisse il discorso del disarmo della polizia durante i conflitti di lavoro: si scatenò una autentica rissa verbale all’insegna dei “cannoni alla polizia” e in breve tempo la mia maggioranza si assottigliò fino a diventare minoranza.
Cosa voglio dire, ricordando questo antico episodio. Le armi sono una gran brutta bestia ed il loro uso è sempre stato motivo di scontro politico fra destra e sinistra, ma soprattutto fra tifosi dell’ordine pubblico a tutti i costi e sostenitori di una linea socialmente avanzata dove l’ordine diventa un concetto molto più largo, problematico e complesso. Forse siamo ancora fermi lì.