Ucci ucci sento odor di fascistucci

“Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”, diceva Voltaire. Sarà bene che i cittadini italiani, i governanti, i responsabili della vita nelle carceri e tutti coloro che operano in esse si ficchino bene in testa questo aforisma dal momento che la condizione carceraria italiana è drammaticamente violenta, umanamente inaccettabile, giuridicamente anticostituzionale in quanto viola i diritti della persona e contraddice pienamente la funzione rieducativa della pena.

Vediamo in rapida sintesi le reazioni politiche alle intollerabili violenze subite da alcuni detenuti del carcere di Santa Maria Capua da parte di agenti della Polizia Penitenziaria. Per la ministra Cartabia si è trattato di «un’offesa e un oltraggio alla dignità della persona dei detenuti e anche a quella divisa che ogni donna e ogni uomo della polizia penitenziaria deve portare con onore, per il difficile, fondamentale e delicato compito che è chiamato a svolgere». Poi aggiunge: «è un tradimento della Costituzione: l’art.27 esplicitamente richiama il “senso di umanità”, che deve connotare ogni momento di vita in ogni istituto penitenziario e si tratta di un tradimento anche dell’alta funzione assegnata al corpo di polizia penitenziaria, sempre in prima fila nella fondamentale missione, svolta ogni giorno con dedizione da migliaia di agenti, di contribuire alla rieducazione del condannato». In particolare, la ministra ha chiesto approfondimenti sull’intera catena di informazioni e responsabilità, a tutti i livelli. «Di fronte a fatti di una tale gravità non basta una condanna a parole. Occorre attivarsi — spiega la Guardasigilli — per comprenderne e rimuoverne le cause e perché fatti così non si ripetano. Ho chiesto un rapporto completo su ogni passaggio di informazione e sull’intera catena di responsabilità. Vicenda che ci auguriamo isolata e richiede una verifica a più ampio raggio, in sinergia con il capo del Dap, con il Garante nazionale delle persone private della libertà e con tutte le articolazioni istituzionali, specie dopo quest’ultimo difficilissimo anno, vissuto negli istituti penitenziari con un altissimo livello di tensione. Oltre quegli alti muri di cinta delle carceri – conclude la Ministra Cartabia — c’è un pezzo della nostra Repubblica, dove la persona è persona, e dove i diritti costituzionali non possono essere calpestati. E questo a tutela anche delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria, che sono i primi ad essere sconcertati dai fatti accaduti».

Il Partito democratico ha chiesto alla ministra della Giustizia, Marta Cartabia, di riferire in aula sugli «abusi intollerabili». «Sono violenze inaccettabili e vergognose in un Paese civile — ha spiegato Piero De Luca, vicepresidente Pd alla Camera — e il nostro gruppo chiede che la ministra Cartabia riferisca in Parlamento su quanto accaduto». Le immagini dei pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, diffuse dal quotidiano Domani, per il segretario Dem, Enrico Letta, sono «così intollerabili che non possono avere cittadinanza nel nostro Paese, a maggior ragione gravi perché ascrivibili a chi deve servire lo Stato con lealtà e onore».

Per Matteo Salvini, leader della Lega, «chi sbaglia paga soprattutto se indossa una divisa però non si possono coinvolgere tutti i 40mila donne e uomini di polizia penitenziaria e non si possono sbattere in prima pagina con nomi e cognomi, serve rispetto per uomini in divisa che ci proteggono in strada, i singoli errori vanno puniti, conosco quei padri di famiglia sotto accusa e sono convinto che non avrebbero fatto nulla di male». Salvini aggiunge: «giovedì sarò a Santa Maria Capua Vetere per portare la mia solidarietà agli agenti della penitenziaria, la Lega sarà sempre dalla parte delle forze dell’Ordine».

C’è stata una riunione straordinaria al ministero della Giustizia sulla situazione nelle carceri e proprio la ministra, Marta Cartabia, ha convocato il capo del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap), Bernardo Petralia, il Garante nazionale delle persone private della libertà, Mauro Palma e il sottosegretario Francesco Paolo Sisto. Inoltre sono state disposte le sospensioni di tutti i 52 indagati raggiunti da misure di vario tipo. Il Dap sta valutando ulteriori provvedimenti anche nei confronti di altri indagati, non destinatari di provvedimenti cautelari, e ha disposto un’ispezione straordinaria nell’Istituto del casertano, confidando nel pronto nulla osta da parte della magistratura.

Si sprecano le dichiarazioni di garanti, magistrati e associazioni varie: meno male che qualcuno ha ancora il coraggio di indignarsi di fronte ai detenuti in ginocchio, colpiti a pugni e manganellate, pestati con una violenza inaudita. Riporto quelle che provengono dalla società civile.  Per il presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo si è trattato di «un pestaggio squadristico» mentre per Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia «come 20 anni fa a Bolzaneto, funzionari dello stato hanno infierito su persone in loro custodia immaginando che quei fatti non sarebbero diventati pubblici o comunque confidando nell’impunità ma a differenza del 2001, ora la parola “tortura” nel codice penale esiste e chiediamo che la legge adottata tardivamente nel 2017 sia ora applicata».

Mi permetto di aggiungere che, guardando le suddette immagini, mi sono vergognato di essere italiano: non è possibile assistere indifferenti a simili episodi, che non sono isolati, ma sono la punta dell’iceberg della condizione carceraria, fatta di maltrattamenti, suicidi, pestaggi, violenze di ogni genere, riduzione del detenuto a carne da macello sull’altare del perbenismo della società. Ha perfettamente ragione l’Anpi a scandalizzarsi, perché dalle carceri sorge una terribile puzza di fascismo. Non è questione di mele marce, ma di una mentalità purtroppo presente e diffusa in molti servitori dello Stato e di chi li comanda.

Posso immaginare lo stress e il logorio del vivere a contatto continuo con la delinquenza, prima e dopo la condanna, ma se un poliziotto non si sente di fare questo mestiere, vada a fare qualcosa d’altro. Il discorso vale per molte professioni difficili e delicate, ricoperte con sufficienza e senza motivazione ed impegno. Non pretendo eserciti di missionari, ma persone seriamente e correttamente impegnate nel proprio lavoro.

Temo poi che continui ad esistere un subdolo indottrinamento su chi svolge compiti di ordine pubblico: un senso di superiorità e di impunità che sfocia nella violenza quale arma per ripristinare l’ordine. Spesso le polizie, anche quelle dei cosiddetti Paesi democratici, sono schierate a difesa non dell’ordine e della legalità, ma dei regimi, palesi od occulti che siano. È molto simpatica ed “anarchica” la battuta con cui mio padre fucilava l’autoritarismo dall’alto al basso e dal basso all’alto: «A un òmm, anca al pu bräv dal mónd, a t’ ghe mètt in testa un bonètt, al dvénta un stuppid».

Non si può generalizzare, ma non si deve nemmeno minimizzare e marginalizzare il fenomeno. La politica di destra è strumentalmente o ideologicamente, e comunque vomitevolmente, schierata dalla parte del manico. Cosa vuol dire essere sempre e comunque dalla parte delle forze dell’ordine? Io sono sempre e comunque dalla parte di chi si sforza di fare bene il proprio dovere e di chi cerca di rispettare il doveroso confine tra difesa della società democratica e uso gratuito della violenza di regime.

La politica di sinistra parla bene e razzola male, non ha il coraggio di sposare fino in fondo certe scomode cause, che non portano voti, ma che rispondono allo spirito costituzionale ed autenticamente democratico. Si dice che la sinistra sia alla riscoperta della propria identità. Ebbene, dove sta l’identità della sinistra se non nella difesa dei diritti dei deboli: i carcerati, checché se ne dica, sono fra questi, a prescindere dai motivi per cui sono stati condannati. Viene prima l’incolumità dei carcerati o la difesa corporativa delle guardie carcerarie? Sono consapevole di lanciare “un masso” in piccionaia.

Chiudo con un giudizio temerario sull’attuale ministra della giustizia Marta Cartabia. Apprezzo le nobili parole con cui ha reagito al pestaggio in carcere, però la vedo chiusa nella sua stanza giuridica, colta e nobilmente impegnata, ma lontana dalle profonde ansie della società, una bravissima professoressa al ministero, una governante con tanta competenza ma con poco cuore. Si fa il suo nome quale prossima presidente della Repubblica in nome della competenza, nuovo approdo della politica, e della femminilità, nuova risorsa della società.  Sono d’accordo sulle premesse, ma ricordiamoci che la politica deve avere anche il cuore: e non è un aforisma sentimentaloide e, tanto meno, un espediente retorico.