Quando entra in campo il fair play

Finalmente un evento calcistico che mi riconcilia umanamente con lo sport. Chi mi legge penserà alla vittoria della nazionale italiana contro la Spagna che ha guadagnato all’Italia l’accesso alla finale del campionato europeo. Non è la pur sofferta vittoria in sé che mi rende un po’ di serenità, ma il clima umanissimo in campo e sugli spalti che l’ha preceduta, accompagnata e seguita. Protagonista principale il commissario tecnico della nazionale spagnola Luis Enrique che ha offerto a tutti una lezione di stile e sportività, prima, durante e dopo la partita.

Non è facile sentire parole così misurate, educate, sportive ed amichevoli: nelle conferenze stampa concesse alla vigilia dell’incontro e subito dopo la sua conclusione ha avuto espressioni di grande stima verso la nostra squadra e verso il nostro Paese in cui peraltro ha vissuto nel periodo in cui ha allenato la Roma: una partita bella, giocata fra due belle squadre che attuano un bel gioco. Avrebbe potuto tranquillamente sostenere che la Spagna avrebbe meritato di vincere: è la pura e sacrosanta verità. Invece ha fatto i complimenti alla nazionale italiana ed ha garantito che per la partita di finale tiferà per l’Italia.

All’inizio del match si è avvicinato a lui Roberto Mancini, il nostro c.t. per il solito scambio di cortesie. Enrique era già seduto in panchina, si è alzato di scatto ed ha scambiato con il collega alcune parole cordiali ben al di là del protocollo. Durante la partita ha fraternizzato ripetutamente a bordo campo con i giocatori italiani stemperando così ogni pur timido accenno ad un eccessivo agonismo: un signore che oltre essere un tecnico di valore è anche e soprattutto un uomo di stile e correttezza. Non è facile trovare queste qualità in un mondo dove vige l’ansia di essere forti e vincenti a tutti i costi. Un esempio da cogliere e ricordare.

D’altra parte tutto l’incontro è stato caratterizzato da un clima piuttosto amichevole fra i calciatori, anche nei momenti di maggior tensione agonistica: finalmente hanno trionfato il rispetto per l’avversario e la competizione corretta e leale. Anche le tifoserie hanno osservato un comportamento colorito ed espansivo più che accettabile, merito forse dei buoni rapporti esistenti fra i due Paesi: della serie “se un’altra squadra deve vincere che sia l’Italia o la Spagna a seconda dei casi”.

Sono andato con la mente alla finale del campionato del mondo del 1982, Italia- Germania, giocata a Madrid con la presenza in tribuna dell’allora presidente Sandro Pertini a fianco del re di Spagna Juan Carlos: Pertini gioiva per il nostro successo trionfale tra la contenuta ma evidente soddisfazione del re e dei tifosi spagnoli. Esempi di come lo sport possa, oserei dire debba essere occasione per fraternizzare nella competizione, discorso che può andare addirittura virtuosamente oltre l’evento sportivo in se stesso.

Come non ricordare una partita del campionato italiano di serie A allo stadio Tardini di Parma: non saprei identificarla con precisione anche perché il ricordo, che voglio qui riportare, prescinde dal nome dei giocatori impegnati e tanto più dal risultato finale della gara. Si trattava comunque di una gara piuttosto in salita per il Parma, tutt’altro che una partita tranquilla, con scontri abbastanza forti, con un agonismo acceso che ovviamente coinvolgeva anche il pubblico. É chiaro che il pubblico non può essere distaccato e inamidato, è partecipe, qui sta il bello. Ma ci devono essere dei limiti e qui sta il difficile. Ebbene il pubblico seppe comportarsi in controtendenza rispetto all’eccesso di agonismo in campo. Durante quel Parma-Sampdoria di tanti anni fa, la tensione in campo stava assumendo dimensioni pericolose, l’arbitro stentava a controllare la gara, i giocatori tra falli e reazioni stavano veramente esagerando. C’era di che preoccuparsi, ma entrarono in campo (si fa per dire) le due tifoserie che dalle curve contrapposte si scambiarono cori di incitamento e di simpatia reciproci (i sampdoriani gridavano: Parma! Parma e i parmensi rispondevano: Sampdoria! Sampdoria!). Tutto il pubblico capì ed applaudì intensamente. I giocatori furono contagiati da tanto fair play e la partita si incanalò sui binari dell’assoluta correttezza. Confesso di essere rimasto colpito ed emozionato dall’episodio.

Italia-Spagna, recentissima semifinale del campionato europeo, ha visto tutti i protagonisti impegnati in un piacevole confronto all’insegna della cordialità e dello scambio di cortesie. Resterà impressa nei miei ricordi per l’emozionante clima umano che l’ha contraddistinta. La palma del fair play, come detto, va all’allenatore della nazionale spagnola Luis Enrique: persona che è passato attraverso gravi sofferenze a livello famigliare. Non voglio scadere nel moralismo o nella retorica, ma, c’è poco da fare, la sofferenza insegna a vivere e il comportamento di questo uomo di sport ne è forse la dimostrazione. Grazie comunque della lezione, che dovremmo cercare di imparare ed applicare con una certa continuità. Speriamo si tratti di una rondine che fa primavera.