Le istituzioni non possono andare affanculo

Si sta consumando la triste fine del M5S a dimostrazione che i partiti non si fanno con quattro cazzate urlate in piazza e mandando affanculo la politica. Anche Giuseppe Conte viene sostanzialmente “vaffanculeggiato” da un redivivo Beppe Grillo. Alcuni osservatori e commentatori politici si preoccupano di quanto sta accadendo ai vertici pentastellati e delle ricadute che una simile devastante vicenda potrà avere sui futuri equilibri politici italiani. Personalmente credo, tutto sommato, sia meglio la chiarezza rispetto a striminziti accordi al fine di arginare la deriva qualunquista e/o la crescente ondata di destra.

Come si può pensare ad un futuro politico che veda protagonista il manicomiale (il termine è di Marco Travaglio, che di grillini se ne intende) movimento pentastellato. Dove finirà l’elettorato grillino? Probabilmente si sparpaglierà un po’ qui un po’ là. Guai però se la politica inseguisse il consenso tra le fila di un esercito in rotta. Se il Partito democratico è una cosa seria, deve cominciare a ipotizzare un futuro serio, smettendola di cincischiare alla ricerca di accordicchi con personaggi squallidi e inaffidabili. La parentesi grillina va chiusa. Occorrerà tempo e pazienza.

C’è però alle porte una scadenza delicata e preoccupante: l’elezione, all’inizio del 2022, del presidente della Repubblica. Accantonata a malincuore l’ipotesi di una riconferma di Sergio Mattarella (lo rimpiangeremo molto), il rischio è quello di un Parlamento in confusione totale, sia a sinistra (?) che a destra (?), una sorta di bagarre da cui dovrebbe uscire colui che ricoprirà la massima carica dello Stato fino al 2028.

Che il centro sinistra (lo chiamo così solo per semplificare) si presenti in ordine sparso, soprattutto in casa pentastellata, non è un bene, anche se la storia insegna che gli equilibri politici predeterminati non hanno retto positivamente all’urto dell’elezione presidenziale. Il capo dello Stato infatti, pur essendo eletto dal Parlamento, in cui siedono i rappresentanti dei partiti, non dovrebbe rispondere ad una maggioranza, ma rappresentare, al meglio possibile, tutta la nazione.

Anche nell’area di centro-destra (la chiamo così per non offendere chi in essa sta rovistando nel torbido) ci sono lavori in corso e quindi il manicomio potrebbe allargarsi e pensare ad un presidente neuro-psichiatra non è il massimo. Forse però tutto il mal non vien per nuocere: la frantumazione tattica e l’assenza strategica possono costringere i partiti a ricercare soluzioni al di sopra delle parti che prescindano da calcoli strumentali e faziosi. Bisogna però stare attenti perché simili soluzioni possono prefigurare l’investitura di personaggi che già ricoprono o hanno ricoperto alti incarichi istituzionali: non è detto che possiedano quella sensibilità e dimestichezza politica necessarie per assolvere il mandato presidenziale. Il presidente della Repubblica deve essere al di sopra dei partiti, ma non estraneo alla politica.

Anche la soluzione Draghi, che peraltro sembra allontanarsi nella misura in cui egli sta fortunatamente mettendo radici a Palazzo Chigi, appare troppo algida e compassata per rispondere ad un ruolo in cui deve battere anche il cuore pazzo degli italiani.

Da sempre ho seguito con apprensione la nomina del capo dello Stato, questa volta ancor di più: trovare una persona, che sappia essere garante della Costituzione, rappresentante dell’unità nazionale, coordinatore e sorvegliante dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, non è impresa facile, considerata anche la complessa e drammatica situazione che stiamo vivendo. Mi ricordo che una persona di mia conoscenza, tra gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, definiva il presidente Gronchi come “Giovanén tajanastor”, sottovalutando il ruolo presidenziale e considerandolo di mera tappezzeria istituzionale. Non è così e quindi mi tremano le vene ai polsi nel pensare a questa imminente e delicatissima scelta. Speriamo bene…