«Rieccolo!». Così Montanelli, con un po’ di ironia, ma anche con la simpatia che da «toscanaccio» riservava al suo illustre corregionale, salutava Fanfani ogni volta che tornava a riapparire con incarichi importanti nel mondo politico. Ne apprezzava la volontà combattiva, l’onestà e, soprattutto, la mancanza di compiacenza verso amici e avversari, che era la caratteristica che distingueva il leader «brevilineo», come egli stesso implicitamente si era definito in un famoso saggio scritto nel 1934, quando insegnava alla Cattolica (Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo).
Questo richiamo ad Amintore Fanfani può essere considerato quasi sacrilego, ma mi serve a introdurre dialetticamente un breve discorso sull’attualità politica di Silvio Berlusconi: non voglio confondere il sacro col profano, ma solo ironizzare sulla capacità del cavaliere di riciclarsi anche quando sembra ormai finito e tenta di rispuntare “più bello e più superbo che pria”.
Questa nuova menata del partito unico del centro-destra, da lui strumentalmente cavalcata, non me l’aspettavo. Egli ipotizza “un grande lavoro che coinvolga i militanti, gli eletti e soprattutto l’opinione pubblica di centrodestra, le categorie, donne e uomini della società civile vicini alle idee, ai valori e ai legittimi interessi che noi rappresentiamo. Solo così, da un grande lavoro sulle idee, sui programmi e sulle regole, può nascere per gradi un’aggregazione nella quale le diverse soggettività siano esaltate, non annullate” (vedi intervista rilasciata a Tommaso Labate del Corriere della sera).
In effetti la vita politica italiana dal dopoguerra in avanti è sempre stata caratterizzata dalla mancanza di una forza di destra o di centro-destra, schiettamente democratica, di stampo liberale, di chiara vocazione europeista, conservatrice ma non reazionaria. Questo spazio era ricoperto, in un certo senso, dalla Democrazia Cristiana, che però era un movimento di ben altra portata dal punto di vista storico, sociale ed internazionale. Quando finì il dualismo politico della DC e del Pci, Berlusconi si candidò a ricoprire questo ruolo o meglio finse di ricoprirlo, ma in realtà a lui premeva la rappresentanza dei suoi interessi coperti da una coltre pseudo-democristiana: molti caddero nel tranello di un rinnovato improbabile e anacronistico anticomunismo e gli diedero fiducia sprofondando il Paese in una penosa operazione di mediatico rilancio di una politica più vicina ai trascorsi fascisti che a quelli democristiani.
Cosa è stato il berlusconismo?
Una prima risposta, ormai più storica che politica, che potremmo definire con l’espressione “il regime c’era”, individuava, con asprezza, precise e inequivocabili prove dell’esistenza di un vero e proprio regime incombente sulla società’ italiana e non si faceva alcun scrupolo a definirlo, più o meno, come fascista in continuità con l’esperienza passata nel nostro Paese ed a livello mondiale.
Una seconda chiave interpretativa, etichettabile con la frase “c’erano i presupposti per un regime”, riscontrava con forte preoccupazione indizi e sintomi di una malattia in incubazione, individuando molte analogie del clima socio-politico in cui nacque il berlusconismo con quello che preparò l’avvento del fascismo.
Una terza visione culturale partiva da come le destre interpretano la modernità, a seconda dei diversi contesti politici, per ipotizzarne le caratteristiche camaleontiche riassumibili nelle diverse definizioni: carismatiche e tecnocratiche, personalistiche e razziste, nazionalistiche o localistiche. Ciò senza occultare i rischi di autoritarismo, populismo ed altre patologie simili.
Questa terza linea critica la potremmo definire in estrema sintesi con la locuzione “a destra il regime ci può scappare, ma in senso moderno”: ben lungi dal ricostituire ordinamenti del passato le destre sono allo sbando in un mondo conflittuale ed incerto.
Berlusconi intende affrancarsi da questa gabbia, facendo un salto definitivo nella democrazia, lasciando di sé un ricordo migliore rispetto a quello emergente dalla storia degli ultimi trent’anni. Se non c’è riuscito quando aveva un forte consenso e spadroneggiava a più non posso sugli alleati, figuriamoci se potrà farlo oggi, con indici di gradimento da prefisso telefonico, con evidente inferiorità rispetto alle altre forze di destra. Siamo alla tattica e niente di più: il tentativo di chiudere in bellezza un impegno politico, decisamente vergognoso, con un autentico colpo di reni.
Intendiamoci, alcune delle attuali intuizioni non sono disprezzabili: mi riferisco al giudizio tranchant sul movimento pentastellato, alla scelta europeista, alla rinuncia ai localismi ed ai nazionalismi, al rientro in un rispettoso e riguardoso gioco istituzionale, ad una generica ma pur sempre apprezzabile adesione ad un centrismo politicamente liberale, economicamente liberista, socialmente interclassista.
Il problema sono gli interlocutori, i potenziali compagni di viaggio, i partner e persino il suo striminzito gruppo dirigente. Berlusconi si rende perfettamente conto della povertà della proposta politica di un centro-destra che potrebbe persino diventare maggioritario nel Paese e quindi, nonostante l’età, si sta paradossalmente candidando ad esserne il padre nobile. Non ce la può fare! Non riuscirà ad andare oltre un misero notabilato di risulta: meglio di niente per i suoi affari, ma meno di niente per il Paese.
Tutto sommato mi dispiace, mi fa tenerezza, perché dice anche cose giuste, ma completamente fuori tempo. Faccio, solo per spiegarmi, un altro richiamo sacrilego. Durante l’ultima fase politica della vita di Francesco Cossiga, quella di “picconatore”, improntata alla disinibita, simpatica, acuta, ma sconclusionata e logorroica, denuncia dei mali della politica, Marcello Dell’Utri, con una delle sue celebri frasi, diede una definizione folgorante dell’ex presidente della repubblica: «Ormai Cossiga può dire quello che vuole. È come il nonno di casa: fai finta di niente anche se esce in mutande». È così, a maggior ragione, per Berlusconi: l’ultima sclerata da ego ipertrofico? Vuole il Quirinale, si dà un 10-15% di possibilità, dice di avere dalla sua già 476 grandi elettori. Se va avanti di questo passo, forse rischia di uscire di casa addirittura senza mutande, esibendo quegli attributi tanto a lui cari e ormai solo un triste cimelio di una triste epoca.