Don Raffaele Dagnino era un prete che, quando era stata introdotta la facoltà del clergyman, non aveva voluto rinunciare alla tonaca, dal momento che gli era tanto costato indossarla; ma è proprio vero che l’abito non fa il monaco: don D’Agnino, aveva infatti uno spiccato senso laico della religione, meglio dire della fede. Era contrario alla scuola privata, anche quella cattolica. Sarebbe comodo, diceva, avere una scuola a propria misura ideologica. Nossignori, bisogna avere il coraggio di mettersi a confronto con i non credenti, testimoniare la fede in campo aperto. E poi chi ha detto che i cattolici siano migliori degli altri, ma lasciamo perdere…
In questi giorni è venuto meno l’obbligo di indossare la mascherina anti-covid all’aperto e lontano dagli assembramenti: vai a capire cosa si intenda per ambiente aperto, cosa significhi assembramento, fino a quando durerà questa novità apparentemente liberatoria.
Nella “Cavalleria rusticana” di Pietro Mascagni, compare Turiddu, dando l’addio a sua madre prima di battersi a duello con compare Alfio per motivi d’onore, dice: “Mamma, quel vino è generoso, e certo oggi troppi bicchieri ne ho tracannato…vado fuori all’aperto”. Era un eufemismo!? In realtà andava incontro alla morte o almeno al grave rischio di soccombere. Speriamo non lo diventi per coloro che azzardano di abbandonare la precauzione per liberarsi di un fastidioso obbligo a cui, volenti o nolenti, si erano adeguati.
Quanto agli assembramenti c’è chi si sta esercitando nel qualificare e quantificare tale concetto: è una disputa surreale che verrà sicuramente risolta all’italiana e finirà nel novero delle grida di manzoniana memoria.
Ma la cosa più curiosa e inquietante è che questa novità rilassante coincide temporalmente con quella preoccupante del dilagare della variante delta: proprio nel momento in cui si profila un rinnovato rischio di contagio, da cui peraltro sembra che i vaccini non siano in gradi di difenderci, si allentano le misure protettive. Allora i casi sono due: o le mascherine erano una messa in scena psicologica, una sorta di misura contro l’ansia, oppure, come al solito, prevale la voglia di normalità a qualunque costo, fare cioè un piacere alla gente anche se poi lo si pagherà a caro prezzo.
Stando alle prime reazioni, sembra che la gente, un po’ per abitudine, un po’ per prudenza, un po’ per fare il bastian contrario, continui ad indossare le mascherine: anche perché il “cava e metti” potrebbe diventare un vero e proprio martirio peggiore del precedente.
Don Dagnino forse docet anche in questo caso. C’è però anche il discorso inverso: l’abito monacale storicamente serviva anche a coprire le proprie malefatte, a cambiare o camuffare esteriormente la propria discutibile identità. D’ora in poi, magari, continuare ad indossare le mascherine ci consentirà di nascondere un po’ di faccia, almeno quella che non abbiamo ancora perso del tutto.
Voglio chiudere con la (quasi) scontata citazione dell’opera lirica “Un ballo in maschera” di Giuseppe Verdi. Durante il ballo mascherato, Oscar, il paggio del Conte Riccardo, scherza con Renato che vuole ammazzare il conte stesso per vendicare il proprio onore, avendo scoperto che sua moglie Amelia è innamorata del Conte: “Saper vorreste di che si veste, quando l’è cosa ch’ei vuol nascosa. Oscar lo sa, ma nol dirà, tra là, là là là là, là là”. Amelia era pura dal punto di vista fisico, anche se in cuor suo aveva tradito il marito: castità e verginità, in fin dei conti, sono un’opinione. Sì, come il coronavirus, che, a seconda dei casi, è una sciagura totale oppure un problemino risolvibile. A tal proposito, personalmente, starò, come si suol dire, nei primi danni, e continuerò a nascondermi dietro la mascherina, tra là, là là là, là là.