Lo zucchero concorrenziale e il “pillolone” oligopolistico

Mio padre amava mettere a confronto il fanatismo delle folle di fronte ai divi dello sport e dello spettacolo con l’indifferenza o, peggio, l’irrisione verso uomini di scienza o di cultura. Diceva: “Se a Pärma a véna Sofia Loren i corron tutti, i s’ mason par piciär il man, sa gnìss a Pärma Fleming i gh’ scorèzon adrè”. Senza nulla togliere ai meriti artistici della Loren, il discorso etico di mio padre mi sembra molto chiaro e quindi non aggiungo commento. Ne faccio però l’incipit morale per affrontare a modo mio la questione dei brevetti sui vaccini, che sta tenendo banco a livello di politica internazionale, ma anche nel solito stucchevole e insopportabile dibattito mediatico.

Parto da lontano. Come ricorda Antonio Lamorte su “Il riformista”, il 3 marzo del 1993 moriva a 86 anni all’ospedale della Georgetown University di Washington Bruce Albert Sabin. È diventato famoso anche come “l’uomo della zolletta di zucchero”: era stato infatti lui a ideare il più diffuso vaccino contro la poliomielite, che veniva somministrato con una zolletta imbevuta. Il suo nome viene spesso citato in questi giorni per via della pandemia da coronavirus, dell’andamento lento della campagna vaccinale, dei brevetti: chi propone di condividerli e chi dice che è impossibile.

“È il mio regalo a tutti i bambini del mondo”, disse invece Sabin che visse una vita piuttosto rocambolesca, spesso drammatica. Non ha mai vinto il Premio Nobel per la Medicina ma è finito nel ritornello della canzone del film Mary Poppins con quel “poco di zucchero e la pillola va giù”. Un inno, allegro e inconsapevole, alla sconfitta di un’epidemia tragica.

Se Sabin così spesso viene tirato in causa in questi giorni è per la sua decisione di non brevettare la sua invenzione, rinunciando allo sfruttamento commerciale dell’industria farmaceutica. “Tanti insistevano che brevettassi il vaccino, ma non ho voluto. È il mio regalo a tutti i bambini del mondo”, disse e non guadagnò un dollaro dalla sua scoperta. Donò i ceppi virali all’Urss, superando le gare sull’orlo della Cortina di Ferro, tra Usa e Urss, in piena Guerra Fredda, e continuò a vivere del suo stipendio da professore. Molti lo tirano quindi in ballo per la campagna vaccinale, e la penuria di farmaci, contro il coronavirus che avanza a fatica in queste settimane, questi mesi.

La testimonianza esistenziale e scientifica di Sabin ci introduce, a contrariis, nella bagarre economico-sociale in cui ci dibattiamo. Come ho già avuto modo di annotare, la speculazione oligopolistica delle case farmaceutiche si è impadronita della salute degli uomini, impostandoci sopra colossali affari: sono partito citando “Il riformista” e quindi non voglio proseguire facendo il comunista fuori tempo massimo, ma che la mia salute dipenda dagli interessi delle multinazionali del farmaco non mi piace affatto. Nei miei insufficienti ma impegnati studi economici ho imparato alcune cose, che ben si attagliano al discorso brevetti sì-brevetti no in materia di vaccini anti-covid.

Semplifico a costo di fare una pessima figura e di rischiare la revoca di “quel pezzo di carta” che mi è costato “lacrime e sudore”. La libera concorrenza teorizzata da Adam Smith non esiste in concreto, perché automaticamente scade nell’oligopolio se non addirittura nel monopolio di mercato o di Stato. La proposta choc di Joe Biden tenderebbe, tramite la liberalizzazione produttiva conseguente alla eliminazione dei brevetti, a rivalutare la concorrenza, sperando che comporti benefici effetti a livello di quantità e qualità dei vaccini prodotti per sconfiggere il covid 19 così come altri vari ed eventuali virus.

Ai pubblici poteri non rimane altro da fare che tentare di arginare lo strapotere economico nella produzione e sul mercato tramite pochi e mirati interventi a salvaguardia degli irrinunciabili interessi collettivi fra cui certamente quello alla salute. Lo strumento dei brevetti non è certamente un toccasana: è l’ombrellino pubblico aperto in mezzo al diluvio privato. Se ho ben capito il presidente statunitense propone di chiudere l’ombrellino per buttarsi nella bufera, sperando che la tempesta perda d’intensità spezzettandosi in tanti temporali più facili da affrontare e da gestire. Lui sta facendo la parte del liberista tutto d’un pezzo (stavo scrivendo pazzo, ma mi sono subito corretto); molti altri governanti (?) invece fanno i programmatori dei miei stivali e si illudono di usare la stalla non tanto per bloccare i buoi, che sono scappati da tempo, ma per avere qualche vantaggio dalla macellazione e vendita dei buoi lucrando sulle joint venture e sugli introiti erariali.

Mi sembra, tutto sommato, uno scontro di retroguardia culturale e politico: una sorta di uovo-gallina, mentre il pollaio viene sbranato dalle faine. Una cosa è certa: il sistema economico non riusciamo a controllarlo neanche minimamente e neanche di fronte a catastrofi mondiali come quella della pandemia da coronavirus. Se il comunismo si illudeva di prendere in mano la produzione guidandola e gestendola dall’alto, il capitalismo vuol farci credere che basta un poco di zucchero concorrenziale per mandar giù il pillolone sistemico dell’ingiustizia. Rifiuto lo zucchero e naturalmente il pillolone!

Non basta infatti togliere i brevetti per mettere in grado le potenziali aziende farmaceutiche di produrre un vaccino di alta qualità. E gli investimenti chi li fa? E la qualità del prodotto chi la garantisce? E chi può evitare che le aziende trovino la scorciatoia di accordi per guidare produzione e mercato?

Dall’altra parte mantenere i brevetti ci porta al casino che stiamo vivendo in questo periodo: i pubblici poteri non sono stati nemmeno in grado di contrattare dignitosamente con la grande industria farmaceutica, si sono presentati con il cappello in mano e hanno accettato tutto quello che forniva la casa, vale a dire vaccini sperimentati alla “cazzo di cane” e distribuiti alla “pene di gatto”. Mi rifugio all’ombra di Sabin, che nel frattempo si scaravolterà nella tomba, ma ci guarderà dal seno di Abramo mentre noi stiamo sprofondando nei tormenti dell’inferno di una società a misura di demonio (Luca 16,19-31).

Mi scuso per la faciloneria, il pressapochismo, la demagogia e la scurrilità del mio argomentare, ma assistere all’impotenza assoluta di chi dovrebbe difendere i poveri, mi rende particolarmente nervoso verso i politici e astioso verso i ricchi. Qualsiasi regola mi andrebbe bene purché togliesse potere ai ricchi per “sollevare l’indigente dalla polvere, dall’immondizia rialzare il povero, per farlo sedere tra i principi, tra i principi del suo popolo” (salmo 112).