L’Androclo palestinese e il leone israeliano

L’ennesima ripresa bellicistica nei rapporti fra israeliani e palestinesi mi crea un grave imbarazzo culturale prima che politico. Non ho infatti elementi seri per valutare oggettivamente le motivazioni di questa infinita guerra. Non ho mai avuto occasione di visitare quelle terre, ho letto poche analisi storiche riguardanti questa paradossale presenza di un lembo di terra ebrea in un largo contesto arabo.

Osservo con incredula sofferenza le immagini di una guerra pressoché continua tra due popoli, orgogliosamente e (forse) presuntuosamente incalliti nella propria millenaria storia, imprigionati nella propria tradizione (più che fede) religiosa, socialmente abbarbicati  alle loro integralistiche diversità, economicamente chiusi nei loro orti incomunicabili fatti di ricchezza e miseria, psicologicamente ancorati a sensi di superiorità e inferiorità che si intrecciano come fili di una matassa  inestricabile e sempre più aggrovigliata.

Temo che sotto sotto in questi popoli ci sia un masochistico intento bellicista in cui si sfogano tutte le grandissime sofferenze e frustrazioni del passato: non riescono a voltare pagina, sembra che gli uni si divertano a tirare sassi nella piccionaia da cui non partono stormi di piccioni ma grappoli di bombe, mentre gli altri non aspettano altro che le insulse provocazioni per reagire di brutto scaricando su un nemico fastidioso e impertinente l’orribile vendetta che vendica più le offese orribili del passato che i disturbi del presente.

Esiste e persiste una cultura di guerra che li avvita in una spirale di morte: da una parte i deboli, i bambini che tirano sassi contro il nemico strapotente e strafottente, gli adulti che mandano bombe a casaccio per disturbare l’avversario; dall’altra i forti che tendono a farla pagare cara a chi osa rompere certi equilibri di comodo, calcando la mano e schiacciando sul nascere ogni e qualsiasi intento violentemente “ribellista” dei deboli.

C’era una volta uno schiavo di nome Androclo che lavorava presso un ex Console romano il quale governava i territori a Nord dell’Africa. Un giorno, non potendone più della tirannia del proprio padrone, decise di scappare. Androclo vagò per giorni nel deserto, poi, stremato dalla stanchezza si rifugiò in una caverna. Nella grotta trovò un leone disteso per terra che si lamentava a causa di una grossa spina conficcata in una zampa che gli procurava un dolore atroce e non gli permetteva di camminare. Mosso dalla compassione e noncurante del pericolo a cui andava incontro, Androclo si avvicinò alla fiera e con un gesto veloce gli estrasse la spina dal piede. Il leone emise un potente ruggito che riecheggiò in tutto il deserto. Tra una smorfia di dolore e la sensazione di sollievo, il leone si rialzò e volle ringraziare lo schiavo. Gli disse che non avrebbe mai scordato ciò che aveva fatto per lui e se ne andò. Dopo un po’ lo schiavo fu catturato dai soldati romani e riportato indietro dal suo padrone che lo condannò a morte. Androclo fu portato nell’arena assieme ad altri condannati per essere sbranati dai leoni. Quando fu il suo turno, egli fu gettato in una fossa dove si aprì un cancello da cui entrò un leone che era stato tenuto a digiuno per molti giorni. Non curante del pubblico, tra cui c’era anche il Console che già pregustava di vedere il leone avventarsi sul poveretto, il feroce animale cominciò a scodinzolare. Avvicinatosi all’uomo con fare gioviale, cominciò a leccargli il viso quasi fosse un cucciolo di cane. Il leone era stato anch’egli catturato nel deserto qualche tempo prima ed aveva riconosciuto lo schiavo che lo aveva liberato dalla spina nella zampa. Memore della promessa fatta a suo tempo, il feroce animale lo aveva risparmiato. Quella scena di amicizia tra Androclo e il leone colpì favorevolmente il suo padrone. Con un gesto di magnanimità il Governatore concesse la grazia al suo schiavo e lo rese uomo libero assieme al leone”.

La favola di Fedro viene letteralmente capovolta dalla realtà israelo-palestinese: i palestinesi non hanno la magnanimità per togliere le spine dalla memoria israeliana, anzi se appena possono ne conficcano di nuove; gli israeliani continuano a comportarsi da implacabili leoni, ostinatamente pronti a sbranare e mai disposti non dico a perdonare ma nemmeno a sorvolare. Non se ne esce. La vendetta rimane il leitmotiv di una infinita sinfonia di morte. Papa Francesco alla recita del Regina Coeli, in un appello sugli scontri in Terra Santa fra israeliani e arabi, ha detto: “Mi chiedo: l’odio e la vendetta dove porteranno? Davvero pensiamo di costruire la pace distruggendo l’altro? In nome di Dio, faccio appello alla calma, e a chi ne ha la responsabilità di far cessare il frastuono delle armi, di percorrere l’avvio della pace, anche con l’aiuto della comunità internazionale”.